Una storia del dott. Pistelli

di Trasciatti il 9 settembre 2010 · 0 commenti

La cucina della nonna

di Alessandro Trasciatti

Una radio anni ‘60, un mobile da cucina bianco, un tavolo di fòrmica verde. Così si presentò la stanza agli occhi del dott. Pistelli. Certo, c’erano molte altre cose, ma la sua attenzione fu estremamente selettiva. Soprattutto il mobile era interessante. Non tanto per ciò che mostrava, ma per ciò che potenzialmente nascondeva. Semplice e geometrico riempiva quasi una parete, liscio e lucido.
Il dott. Pistelli ne conosceva il contenuto, ma solo in parte. Ricordava nitidamente le bottiglie di liquore dolce che sua nonna non offriva mai e che erano diventate oggetto di un divertito culto. Ricordava i piatti, le pentole, le posate. Ma in tutto quello spazio doveva esserci altro. Sarebbe stato semplicissimo saperlo: aprire gli sportelli e ispezionare. In fondo  era lì per prendere quello che gli fosse piaciuto, così gli aveva detto sua madre. Ora che la nonna non c’era più l’armadio era rimasto un oggetto senza padrone, un contenitore cui attingere senza timore di togliere strumenti all’altrui utilità, anzi, sarebbe stato un omaggio alla memoria della defunta  portarli via in un altro luogo, in un’altra casa, farli rivivere in un nuovo contesto che ne avrebbe risvegliato l’assopita funzionalità. Lui, oltretutto, aveva bisogno di oggetti d’uso quotidiano, ora che andava ad abitare da solo.
Eppure rimaneva lì, immaginando quello che  di superfluo o di non più utilizzabile poteva celarsi sugli scaffali dietro gli sportelli chiusi. Ricordò una scacchiera di legno comune, non bella, su cui da piccolo aveva giocato più di una partita a dama con suo nonno, sempre perdendo gli pareva. Era ancora lì dentro? Possibile che nessuno l’avesse più usata, che nemmeno qualche fantasma notturno avesse di tanto in tanto mosso le pedine per ingannare l’estenuante quiete dell’eternità? Non era questione di credenze infantili, di gnomi, di folletti. Era in ballo la nozione stessa di tempo, la sua asfissiante inconcepibilità. Era in gioco l’idea stessa di vita, dell’assenza di vita in quegli oggetti che necessitavano di una mano, di una volontà umana per essere tolti dall’inerzia della materia.

Aprire gli sportelli era la cosa più semplice da fare. Sì, avrebbe verificato l’interno, si sarebbe appropriato di ciò che gli sarebbe servito o anche soltanto piaciuto allo sguardo, al tatto. Avrebbe spostato gli oggetti, creato vuoti tra di loro con semplici gesti di sottrazione.  Lo spazio si sarebbe così ridisegnato, avrebbe avuto una nuova scansione. Un nuovo ordine, o disordine, del tutto indifferente si sarebbe instaurato dentro il mobile. Bastava aprire gli sportelli. Era quello il primo passo. Il più difficile.  Si fece forza e, uno dopo l’altro, li spalancò tutti…
Pensò che di là, tra i morti, doveva esserci una grande penuria, perché la nonna aveva portato con sé ogni cosa.

(In alto: foto scattata in Maremma, dalle parti di Scansano)

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