Mauro Orletti: M’è venuto detto così

di Trasciatti il 29 gennaio 2011 · 0 commenti

Bologna, libreria Modo Infoshop, sabato 22 gennaio 2010. Presentazione di “Vita di Ridolini” di Gianfranco Mammi. Da sinistra a destra si vedono: Alessandro Trasciatti (stile Buddha), Gianfranco Mammi, Mauro Orletti. Il libro esibito non è quello di Mammi, che giace sul tavolo.

Mi è venuto detto così

Il soprannome ti definisce, ti dà un verso. Il soprannome accentua, se possibile, la tua identità.
Ridolini lo chiaman così perché è sempre sorridente. Aggiungerei impassibile. Quando racconta la sua vita a Gianfranco Mammi… al magnetofono di Gianfranco Mammi, ha un tono… impassibile. Un tono assunto nel corso di un’esistenza che pare attraversata da una filosofica imperturbabilità.
Quando si verifica un imprevisto Ridolini lo asseconda.

Insomma pazienza, da barbiere andavo ad aiutare il caporale ogni tanto, allora dopo sei mesi arriva un ordine, seicento cavalleggeri da andare in Russia e io ero in nota anch’io; allora avevo un maresciallo amico che ci portavo qualche salamino e m’ha detto “Mammi, se vuoi restare qua mandiamo un altro nel tuo posto” e io sempre l’ignorantone ho detto “No io seguo il mio destino”.

E tutto fila via. Fluiscono gli eventi, fluisce la lingua. In questo modo di vivere e raccontare c’è una tale naturalezza che, insomma, l’uno sembra condizionare l’altro.

Capirai, m’è venuto detto così, però vuoi vedere che io sono andato a finire invece che in Russia a Cecina Marina assieme a uno squadrone di cavalleggeri, barbiere, permesso tutte le sere, carica  speciale insomma. Quelli che sono rimasti alla Scuola d’Applicazione a Parma, tutti prigionieri in Germania. Ho detto “Guarda il destino della vita…”, perché noi abbiamo un destino, non c’è niente da fare.

Ecco. Se la complessità serve solo a riempire un’esistenza un po’ piatta, allora alle parole resta appiccicato qualcosa di posticcio e tutto il modo di esprimersi diventa inutilmente tortuoso e articolato. Invece Ridolini è autentico… impassibile. La sua lingua è fresca, e fluisce. Tutto scorre.
Anche merito della scuola… la maestra elementare, anziché far lezione, usa gli alunni per mandare avanti la sua cascina. Sicché lui resta immune alla cultura ufficiale e continua a parlare in dialetto. Soprattutto, continua a pensare in dialetto.
Pensare in dialetto è cruciale. Non sarebbe possibile ottenere un libro come questo se, ad esempio, si tentasse di rendere in dialetto ciò che prima è stato pensato in italiano. Non starebbe in piedi neppure una pagina.
Il dialetto però è la lingua di Ridolini. Ed anche se parla in Italiano, le immagini, la costruzione sintattica, il ritmo sono quelli del dialetto, puro e semplice. Vivissimo e di una coerenza sbalorditiva.
Le decisioni più importanti, come quella di metter su famiglia, oppure quella di andare sulle montagne a fare il partigiano, sembrano quasi improvvisate. E in parte lo sono. È il suo modo di prendere posizione, un modo, diciamo così,  non retorico.

…i miei amici venivan senpre lì a dire “Quando vieni nei partigiani?” e io rispondevo sempre “La settimana prossima vengo di sicuro” dicevo che al momento ci avevo il mio daffare. Ma io aspettavo sempre l’armistizio ma non arrivava mai…

Ridolini non è un eroe, anzi, è una figura sostanzialmente anti-eroica. Tant’è che poi, quando finalmente decide di diventare partigiano, siccome “ha preso paura nel fucile a militare”, mette al servizio della causa gli strumenti del mestiere, la sua valigetta da barbiere.
Per questo gli si vuol bene, perché ci si sente vicini a lui molto più di quanto si potrebbe voler bene all’eroe ben confezionato di certi libri. Non sarebbe bello se gli eroi, ogni tanto, anziché impugnare le armi si servissero degli strumenti del proprio lavoro? Una mola, un cavatappi, un treppiede, un ferro da stiro…
L’assenza di programmazione nella vita di Ridolini influisce molto anche nella ricostruzione cronologica degli eventi. Le vicende si susseguono l’un l’altra per il solo fatto di essere accadute. Mammi non ha bisogno di complicare lo cose: montare, invertire, ripetere, saltare e poi riprendere… la successione cronologica del racconto orale è il modo, ed anche la forma, del narrare.
Infatti l’autore, meglio ancora lo sbobinatore, interviene pochissimo nel testo, non sposta, non cambia, non inverte… si tiene ai margini.
In esergo c’è una frase di Celine “Uno fa l’artista con quello che trova”. Questo vale per Mammi ed anche per Ridolini che, con quello che ha trovato, ha fatto della vita una specie di opera d’arte.

Sempre in quegli anni c’era la chiacchiera che a emigrare in America del Sud si faceva i soldi in fretta…

Sicché parte per il Venezuela. Una volta era così, un abbandono (consapevole) agli eventi che, di fatto, adesso sembra una cosa fuori dal mondo. Una volta… oggi…  in questo racconto di Ridolini, tutto sommato, non c’è traccia di nostalgia o rimpianto.
È un resoconto pulito e perfetto, anche nei suoi paradossi. “I racconti equilibrati esistono solo nella finzione romanzesca, quasi mai nella pratica orale.” Questa notazione conclusiva di Mammi deriva dal fatto che, dopo 10/12 sessioni piuttosto articolate, gli ultimi quarant’anni di vita di Ridolini si condensano in appena 25 minuti di registrazione. La loro collocazione cronologica è corretta, ma lo spazio che occupano nella narrazione è squilibrato rispetto all’intera estensione delle vicende. Ed è giusto che sia così. Più ci si allontana nel tempo, più i fatti assumono una connotazione quasi mitica, che li rende materia privilegiata di racconto. Ma mai affabulazione compiaciuta. Siamo sempre dalle parti dell’essenziale.
Così, anche i disegni di Mammi – il testo fa parte di una collana di libri illustrati – risultano equilibrati e discreti, di una bellezza fragile, il contrappunto migliore  per la lingua di Ridolini.
Il minor numero di linee per il minor numero di parole.
Anche Mammi è stato fortunato. Se avesse frequentato un’accademia d’arte, forse, non sarebbe riuscito ad essere altrettanto efficace e coerente.

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