Nicola Dal Falco: Del circo di Persefone

di Trasciatti il 8 agosto 2011 · 3 commenti

Forse la dolceamara sensazione del circo un po’ dipende dall’ostentazione delle divise, lucide, anacronistiche, perdute come i balli a corte. Divise che difficilmente saranno sporcate e messe per così dire alla prova. Restano i numeri con i leoni e le tigri, i trapezi e le meraviglie di certi esercizi a cui comanda una schietta vena di sadismo … però, pare più ovvio che l’imprevisto, quello cattivo, possa solo accadere senza il pubblico, negli orari di lavoro, durante il tempo infinito delle prove. L’errore, la caduta, il calcolo sbagliato, il gesto sicuro e fatale dimorano tra parentesi, seguono il circo fuori dallo spettacolo. Ciononostante, questa musica di fanfare, il buio intorno, i cavalli, le fiere mostrano il sangue, indicano l’effusione del sacrificio. E i battimani servono a sciogliere una smorfia. Di paura e di piacere. Vi si consacra lo sforzo, la tensione che stravolge come nell’amore e nella morte. Sarà pure più triviale delle gare olimpiche, ma, in fondo, il circo attinge alla stessa fonte, al rapporto con l’imbarazzante offerta della vita. Che fare, insomma, di tutta questa energia? Dove dirottarla e, soprattutto, come restituirla, ripagarla, reintegrarla? Il circo, le gare, la guerra, la morte e l’amore saldano il conto. Offrono sacrifici, oblazioni. Al di là degli orpelli che riflettono la luce e viaggiano come i raggi del sole, le divise ci vestono per lo scopo opposto: essere uguali, nudi, vittime. Il bello del circo.
Tra tutte ce n’è però una che brilla di più, tessuta com’è di pezzetti di vetro. Da fermo o in movimento, il corpo di Pierrot riflette in maniera parossistica, imitando la faccia bianca, ora crescente, ora piena o calante della luna. Adeguandosi, in questo movimento, con espressioni che, di volta in volta, sono di brio, di placidezza e d’inevitabile malinconia. Con lui, la notte, guidata dal grande specchio che appena la rischiara, prende posto nel circo accanto ai nasi rossi, all’esuberanza dei microfoni e delle fruste. Spesso è fatto oggetto di scherno o di lusinghe, richiesto e rifiutato come l’oscurità della notte è invocata o maledetta. Ma ciò che alla fine turba è l’ambiguità stessa del vestito-divisa, a cominciare dagli scarpini di vernice e dalle calze bianche Mentre il berretto a cono evoca una cuspide di meringa o panna montata, un raggio selenico entrato dalla finestra e conficcatosi sulla nuca, i calzoni si allargano come anse, due alucce vuote, due sacche inamidate che alludono a dei fianchi, che vorrebbero ospitarne l’opulente evidenza. Di tutte le esibizioni circensi, la figura convessa, specchiante di Pierrot aggiunge alla scena un attore più potente degli altri, anzi un’attrice: Kore-Persefone, la fanciulla che coglieva fiori in Sicilia e, mangiato il chicco di melograno, regnò sugli Inferi, metà dell’anno alla luce e metà al buio.

(In alto incisione tratta dal De monstruorum natura, causis, natura, et differentiis libri duo, 1616, di Fortunio Liceti)

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n. agosto 9, 2011 alle 08:40

grazie, anche da parte di Persefone

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Trasciatti agosto 9, 2011 alle 10:08

Hai visto bellini gli animaletti?

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n. agosto 9, 2011 alle 21:06

la parte bestiale o l’altra?

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