Cinque, diciamo sei, domandine per Gisy

Mar, 02/16/2010 - 15:16

Cinque, diciamo sei, domandine per Gisy

 

Intervista di Gaia Rosi

Qualche mese fa è uscito Vorrei che fosse notte, nuovo romanzo di Gisela Scerman, edito da Elliot. L’ho letto e mi son venuti dei dubbi.

Uno. E’ senza dubbio un nome fittizio, il tuo, un nome d’arte. Come nasce il nome Gisela Scerman (Carouomo forse)?

No, è il mio nome e cognome vero, nome quello di battesimo, e il cognome quello di mio padre. Scerman senza H e Gisela con una sola L.

Due. Perché hai narrato la storia attraverso una figura maschile, e perché un bambino, ma soprattutto perché un bambino maschio?

La scelta del bambino è stata istintivamente al maschile. Vorrei che fosse notte, essendo un libro fondamentalmente di natura autobiografica, riporta al mio vissuto d’infanzia.
Da piccola ho sofferto molto il fatto di essere una bambina, femmina. Son cresciuta in un piccolissimo  paese di provincia, in una via distante diversi chilometri dal centro, una via con tanti anziani, e quei pochi bambini erano solo ragazzi maschi. Avrei voluto essere come loro: dopo una certa età loro mi facevano pesare di essere una bambina, non volevo mettere le gonne, avrei voluto giocare a calcio meglio di loro ecc... Era faticosa quella condizione, lì.
Penso che scrivere riscatti la possibilità di essere quello che uno avrebbe desiderato. In questo caso, in quel tempo, in quel luogo, io volevo essere un ragazzo.  
L’altra spiegazione è che scrivere al maschile può essere un modo per prendere le distanze da tutto ciò che di brutto è accaduto: è un romanzo; non è sfacciatamente autobiografia ma l’autobiografia c’è, è dentro le righe, questo spiega anche il motivo per cui non compare mai il nome del bambino. Mi avrebbe fatto specie chiamarlo diversamente, sapendo che sono io.
Daniele Benati, fino all’ultimo, voleva convincermi a trasformare la voce narrante al femminile, perché secondo lui avrebbe dato un senso di maggior tenerezza al racconto, una maggiore intensità, una differente palpabilità emotiva, e poi si sarebbe associato il tutto  maniera immediata all’autore, quindi alla mia vita reale. Secondo lui usare questo “io” avrebbe reso tutto più forte, più immediato, più intenso, quindi anche più drammatico, e forse proprio è questo che io non volevo. Cadere nel piagnisteo mai! Ma devo a Daniele Benati tanti suggerimenti sulla scrittura e la letteratura che mi son stati davvero utilissimi; mi ha sempre incitato ad andare avanti nello scrivere al di là delle male lingue, e questo ha contato tantissimo. Sono grata anche a Ermanno Cavazzoni.  Li stimo entrambi veramente moltissimo, sono  due grandi scrittori nel senso originario del termine.

Tre. Il personaggio narratore mi ha ricordato Pin, il protagonista de Il sentiero dei nidi di ragno, di Italo Calvino. Ci hai mai pensato?

Calvino come romanziere non l’ho mai letto; lo conosco abbastanza come saggista, e mi piace molto in ciò che scrive perché si sente che c’è di mezzo un “sentimento di scrittore” in qualunque passaggio, anche di natura non narrativa appunto. Conoscenti, a forza di parlarmene, mi avevan convinta a prendere Perché leggere classici  ma l’ho preso due volte, scordandomi di averlo già preso e non letto naturalmente. Allo stesso modo l’ho ri-regalato due volte perché mi son dimenticata di averlo regalato una prima, così quel libro non l’ho letto mai. Calvino fa parte di quegli scrittori che mi nominano in continuazione, e che mi vien da dire che idealmente stimo anche per ciò che non ho letto, ma che non posso riconoscere con certezza, e in cui non posso riconoscermi, quindi no, a lui non ho proprio mai pensato. A Pavese sì invece, e un casino.

Quattro. Le lettere tra Frank e Rachele. Te le sei inventate? Mi sono piaciute per la loro intensità.

Le lettere tra Frank (lo zio sadico del bambino che racconta la storia) e Rachele son quasi tutte vere, quelle naturalmente che son riuscita a recuperare; le ho leggermente modificate, anche se qualche errore mi pareva proprio bello tenerlo. Quelle di Rachele erano ben custodite; quelle di Frank, sono due le originali: una è una malacopia “dello zio” del 1978 dove la ringraziava per avergli fatto gli auguri a 19 anni, perché nessuno glieli aveva mai fatti fino ad allora,  persino i suoi genitori avevan smesso da anni dopo una denuncia per una marachella commessa, e l’ultima è una lettera che non partii mai da casa.

Cinque. Nella storia non c’è traccia di lieto fine. E’ una tua filosofia di vita?

Non è una filosofia di vita, è la vita che fino ad un certo momento mi son ritrovata accanto.  Quando sei piccolo la tua vita è in stretta simbiosi con quelli che vivono in casa con te, in genere genitori, nonni, ecc.. . Mio zio lo odiavo perché ha fatto molto male in famiglia, pur occupandosi di problemi umanitari; viveva nel paradosso di presentarsi e forse essere un ottimo missionario, allo stesso modo di come si rivelava un eccellente aguzzino con le persone più vicine. Certe persone non meritano il perdono nemmeno dopo la morte, per come percepisco io i fatti accaduti. Non l’ho ancora perdonato, anzi, mi sembrava che con quell’atroce malattia, che negli anni ’90 veniva vista come il diavolo,  giustizia si fosse fatta. Aveva fatto del male e doveva pagare, in qualche modo. Per me quell’uomo tutt’ora non è mai morto abbastanza.
A distanza di quasi vent’anni negli incubi torna come allora, e così l’angoscia, la paura. Il libro mi sembrava un’ulteriore punizione, perché dovevo dire come erano andate le cose, non potevo lasciare tutto come se niente fosse stato. In questo mi sento molto feroce, ma scrivere è un po’ come sognare. Però, nella storia, non direi che non ce’è traccia di lieto fine. Chi racconta, racconta con gli occhi, sta male, ma è soprattutto spettatore. In fin dei conti, anche se non sa come e quando, spera un giorno di salvarsi, di uscire da quella maledetta saga famigliare di paese.

Sei. Perché una modella fetish come te, tra funi e catene, scrive un romanzo così serio, scarno, introspettivo? Sembra scritto con gli occhi. Non me lo aspettavo.

Forse uno da me non si sarebbe aspettato nemmeno il libro su Piero Ciampi (Piero Ciampi: Una vita a precipizio), ma di quello non se ne parla, troppo poco pruriginoso, serio, leale, a mio avviso il più riuscito perché son riuscita fino all’ultimo a mantenere la coerenza iniziale, senza mai cedere di un millimetro rispetto alle mie intenzioni prime. La soddisfazione più grande è che gli appassionati tutt’ora mi ringraziano, e quella è una sincerità che paga più di ogni altra cosa. Mi dico, perché aspettarsi qualcosa o non aspettarsi qualcosa? Si è pieni zeppi di preconcetti, per cui tizio dovrebbe fare una cosa, Caio un’altra, e si parla di Tizio e di Caio senza sapere cosa abbiano o non abbiano da dire.
Quando si parla del paragone tra scrittura e modella, non so, mi pare una boutade. E’ come chiedere se è più alto un grattacielo o più veloce una Ferrari. Con il fetish io davvero c’entro molto poco, per anni ho fatto foto bondage come variante del piacere esibizionistico, e anche perché all’inizio, non conoscendo il genere, mi interessava capire cos’era, e farmi rappresentare in foto più particolari; ma mai che sia stata una passione privata, lo direi senza problemi. In seguito, pur diminuendo le sessioni fotografiche, lo facevo per soldi, come un impiegato che non gli frega nulla di andare in ufficio e lo fa per tirare uno stipendio. Capisco che la velocità della luce va oltre quella del suono, e quindi resta più impressa una foto con le corde che cento altre cose che fai di natura diversa.
Per quanto riguarda “il romanzo introspettivo”, pur se la domanda è molto facile, ci sarebbe da dire molto. Io credo che il mio primo libro sia stato, dal punto di vista introspettivo, addirittura il più importante, pur non essendo un romanzo. Oltre che un grande lavoro, è stato davvero una profonda ricerca dentro di me, tramite ciò che mi ha dato quell’autore, ed è un patrimonio immenso quando un autore ti parla. Un grande insegnamento. A Piero Ciampi non finirò mai di dire grazie; auguro che questa magia dell’insegnamento verticale ed interiore possa capitare a chiunque, perché significa svegliarsi da diverse  cecità.
La ragazza definitiva, il mio secondo libro, è in forma di diario, parla anche molto di sesso, e questo, associato al fatto che l’abbia scritto una ragazza che per di più fa la modella, l’immaginario collettivo lo declassifica immediatamente, anche se però quello è stato venduto bene, pur se male giudicato. Nominare i genitali crea l’equivoco introspezione = endoscopia,  oltre a quella diceria che copio Melissa P. o Aldo Busi ecc… e tra l’altro non ho mai letto nessuno dei due.
Semplicemente è più semplice scrivere i pensieri così come vengono, e dare un nome ai capitoli, senza seguire una narrazione precisa.
Vorrei che fosse notte è invece un libro molto sofferto, a cui ho lavorato intensamente due anni, nel quale son stata costretta a ricordare, a chiedermi tante cose, proprio sul vissuto. Sento che il lavoro c’è, nonostante diversi disaccordi con l’editor e 90 pagine di taglio. Un libro urgente, che  sentivo l’esigenza di fare, la giusta vittoria nei confronto di Frank, il non più taciuto, anche se sotto forma di romanzo. E’ un’esigenza mia e, come mi aspettavo, il riscontro è buona critica ma poche copie, minimamente paragonabile al precedente.
Apprezzo molto chi riesce a mantenere un’integrità morale nei confronti di ciò che scrive, mi chiedo se oggi sia possibile; possibile nel senso di non sfruttare la propria posizione a scapito della qualità vera, interiore, del racconto, di scrivere ciò che si sente come si vuole, nelle modalità che si vuole, senza essere condizionate da proposte editoriali e di marketing.
Non nego che molte domande me le pongo anch’io su cosa sia giusto o meno fare, perché da un lato è sempre un lavoro, anche il lavoro che più desideri ha degli aspetti che non ami, ma a cui devi tenere testa. Magari lavori anni ad un libro dove hai messo tutto te stesso e trovi un coglione che ti dice che così non vende; fai una puttanata in de mesi che ti fa ribrezzo e ti dicono che è super, che è perfetto. In diversi casi trovi a dover decidere se fotterti come autore, magari intascando grana dalle puttanate, o rinunciare a soldi e visibilità e andando dritti per la propria strada, in quel che si crede veramente. E’ qui il vero coraggio, perché automaticamente quando hai meno visibilità anche il tuo potere decisionale ed editoriale cala, insomma un circolo vizioso faticoso da reggere.  Il vero disastro è chi sta a capo di molte case editrici, che nella maggior parte dei casi sembra davvero occuparsi di finanza più che di cuore e qualità; ciò che impone l’editoria è devastante soprattutto nel riguardo delle “nuove voci” che devono galoppare sempre l’onda di qualcun altro, mai la propria identità, il proprio sentimento. Allo stesso tempo, credo ci sia molta arroganza nel definirsi scrittori, perché quando penso a degli scrittori ho in mente facce definite, che già ti raccontano. Un po’ più di umiltà non guasterebbe, prendere esempio da Gianni Celati potrebbe essere un buon inizio.    

  1. ghyaia (non verificato) on Ven, 02/19/2010 - 12:44

    Sono contenta che tu abbia parlato di Piero Ciampi nelle tue dettagliate risposte. In effetti era una curiosità  che non ti ho scritto.  L'ho ascoltato molto in casa dei miei genitori. Mi madre ha una passione smodata per lui, per le sue canzoni, per la sua vita. Mi piacerebbe leggere il tuo libro su di lui.

    Gaia

  2. gisyscerman on Ven, 02/19/2010 - 15:20

    Intanto grazie per apprezzare Piero Ciampi.
    Quello (libro e autore) rimane sempre il mio portafortuna ( anche se c'è chi ritiene l'esatto contrario !) - penso si trovi ancora in giro...in qualche sperduta libreria...
    Spero tanto di poterlo ripubblicare integrato, magari tra un pò...
    La più grande soddisfazione è che anche se sempre di nicchia, sta cominciando ad avere un ascolto più ampio...gira di più.
    Penso lui ne sarebbe felice.
    Ora comunque è uscito un film documentario su di lui, che propone anche un cd con 18 brani...insomma qualcosa si muove...

    Se poi si guarda S. Remo vien proprio voglia di rifugiarsi in altra musica...

  3. ghyaia (non verificato) on Sab, 02/20/2010 - 13:11

    Direttor Trasciotti, è bella Gisy Scerman, è bella la foto con il suo libro in mano ... "ha tutte le carte in regola". Comunque, in quanto intervistatrice,  avrebbe potuto aggiungere anche una mia foto con il libro in questione. Intanto mi farò scattare un clic. Poi ordinerò anche il libro su Ciampi...

  4. gisyscerman on Sab, 02/20/2010 - 13:50

    Allora ci vuol la foto con entrambi i libri :P

  5. ghyaia (non verificato) on Dom, 02/21/2010 - 19:34

    Ecco! subito compaiono al mio cospetto nuovi oneri letterari. Vabbene, accetto la sfida. Leggerò anche quello su Ciampi, per poi far spuntare il mio faccino tra i due libri di Gisy. Cosa non si fa per vedere una propria foto pubblicata.

  6. gisyscerman on Lun, 02/22/2010 - 16:49

    Ahhaha, io questo lo so fin troppo bene. Si apre un sito tipo.

  7. trasciatti on Lun, 02/22/2010 - 17:32

    Malidette! Ora mi toccherà aprire una sezione tutta foto di scrittrici e intervistatrici-aspiranti modelle. Ma non lo farò, oh no, questo no. Il mio onore me lo impone.

    don abbondio trasciatti

  8. ghyaia (non verificato) on Lun, 02/22/2010 - 20:11

    Intanto ho fatto tutti i miei ordini libreschi sul computerino. E confido nel mio corriere che mi dà gli appuntamenti al bar. Ma più di tutti voglio leggere la ragazza definitiva. Ebbene si, riprenderò la lettura dei libratti quando ritornerò nel futuro. E' lì che ci volevo giungere. Lei Don Trabiondo è sempre più tutore e la morale è sempre quella: fai merenda con girella.

  9. gisyscerman on Mar, 02/23/2010 - 08:57

    Ma proprio quello devi leggere? °___________O rischi di farti un'idea troppo veritiera di me, poi e si perde di mistero... ;)

    @ DonTra - Ah grazie per avermi messo sotto la voce vaneggiamenti !

  10. trasciatti on Mar, 02/23/2010 - 11:53

    E' bella la voce Vaneggiamenti, è la più bella. Poi forse farò anche una voce Intervistedigaia...

    abbondio

  11. ghyaia (non verificato) on Mar, 02/23/2010 - 12:52

    Cosa ne pensi Gisy di questa amena scientifica sorprendevole notizia?

    "Da principe azzurro vittima degli scherzi di maghi burloni, a
    fonte del segreto della monogamia. Una piccola e coloratissima rana
    velenosa peruviana, infatti, ha svelato agli scienziati il segreto
    della fedeltà nei confronti di un unico partner. Lo studio, condotto
    sul primo anfibio davvero monogamo scoperto fino ad ora, che vive
    nella foresta pluviale del Sudamerica, ha rivelato che sia i maschi
    che le femmine restano fedeli al proprio compagno di vita".

    Gaia

  12. gisyscerman on Mar, 02/23/2010 - 15:20

    Si saran sbagliati senz'altro. Se son monogamici, forse son animali autistici, senza coscienza voglio dire. Ma è una mia teoria. (anche se pensando alle rane, per quanto colorate)

    Comunque avevo due cocorite che secondo me non capivano un caspita di niente, ma quando è morta una l'altra è mora 10 ore dopo di crepacuore.

    Ma te non darmi troppa corda, che poi ti tocca comperare anche il prossimo di libro, visto che le case editrici diventano sempre più tirchie...è così?

  13. ghyaia (non verificato) on Gio, 02/25/2010 - 19:27

    Sull'autismo delle rane son d'accordo. Poi forse vivono in un posto solitario. Mica come noi che ovunque c'è animalia umanità. Una volta avevo un fidanzato che mi giurò solenne fedeltà e aveva dei tratti proprio da sindrome di cui io sospettavo segretamente. Tipo: tutti i sabati a quell'ora doveva passeggiare con un amico. E poi tanto altro.( non era il Direttore: lui è autistico delle pizze).  Le galline sono discendenti dirette dei dinosauri. E dalle zampe si può supporre. E' una cosa supposta. Una supposta per dirla in breve. Le galline sono i nostri attuali dinosauri. Ma a te Gisy che mestiere ti piaceva fare da bambina? A me sarebbe piaciuto fare la segretaria, quella che dà lo smalto alle unghie, la collezionista, la donna delle pulizie. Il tuo proxi libro mi toccherà si. Starne certa

    G.

  14. gisyscerman on Dom, 02/28/2010 - 20:56

    A me la primissima cosa che mi ricordo quando arrivava il camioncino dell'ortofrutta fuori casa, ecco io avrei voluto fare la fruttivendola.

  15. trasciatti on Lun, 03/01/2010 - 21:14

    Io volevo fare il fenicottero. Ma non m'è riuscito. Poi il fenicottero non è neanche un mestiere.

    il direttore

  16. gisyscerman on Mar, 03/02/2010 - 14:38

    io ho capito che è fatica fare quello che si è