Due nuovi Libratti: Il Re Travicello e Radiopensieri

Sta per uscire un nuovo Libratto: Una domenica a corte di Re Travicello di Maurizio Antonetti, con 14 disegni di Jessica Lagatta. Seguirà, a breve giro di torchio, Radiopensieri di Andrea Bocconi, con disegni di Nicoletta Calvagna. Leggi il primo capitolo del Re Travicello (quella nella foto è la bozza di copertina):

 

 

***

Reggia di Versailles - Petit Trianon, interno.
Ore 8.00 a.m.

 Quando la Sexy-sveglia trillò il suo buongiorno a base di sussurri e gridolini erotici, Sua Maestà Vir XIV si svegliò con un’erezione più flaccida del solito.
 «Non ti piaccio?» mormorò la ragazza della sveglia, osservando l’escrescenza semirigida sporgente dal ventre del Re.
 Vir si grattò la nuca negligentemente e sbadigliò, sforzandosi di mantenere gli occhi aperti. Dopo alcuni istanti si ricordò della domanda e rivolse uno sguardo insonnolito all’olo-proiezione della Sexy-sveglia. Aveva gli occhi languidi di un’adolescente, le labbra carnose di una prostituta e il corpo flessuoso di una ballerina. Sebbene si trattasse di un’immagine teletrasmessa, l’illusione era pressoché perfetta. Chiunque avrebbe detto di trovarsi accanto a una bella figliola in carne ed ossa, nuda e scandalosamente seducente.
 «Certo che mi piaci» la rassicurò Vir XIV, cercando di apparire convincente.
 Confortata dall’apprezzamento, la ragazza eseguì alcuni passi della danza erotica n. 21, finalizzata ad attirare l’attenzione sui seni e sulle natiche.
 «E del profumo che ne dici?» cinguettò, mentre ancheggiava con voluttà a pochi centimetri dal Re. Più che di un profumo, si trattava di una miscela feromonica diffusa dalla sveglia per simulare la presenza fisica di un corpo femminile in movimento. Il gusto veniva modulato in modo da ricreare fedelmente il profumo usato dalla modella, accentuando il sottofondo organico e salino del suo odore naturale. In effetti, senza il prezioso contributo dell’olfatto, la Sexy-sveglia sarebbe risultata assai meno eccitante.
 «Beh, è un buon profumo» commentò Vir, trattenendo a stento uno sbadiglio. «Piuttosto stimolante, credo.»
 «Credi? Senti, bello, a dire il vero non mi sembri così stimolato dalla mia presenza.» L’immagine olografica allungò una mano che attraversò da parte a parte il pene sempre più molliccio del sovrano. L’uomo avvertì una leggera vibrazione elettrostatica ai testicoli, che tuttavia non sortì nessun effetto.
«Di’ un po’» la ragazza lo fissò negli occhi con un sorriso minacciosamente audace «devo venire di persona per fartelo...»
 Clic. Vir XIV spense l’olo-proiettore, nauseato. Le modelle della sveglia diventavano ogni settimana più invadenti. Prima o poi, temeva, se ne sarebbe ritrovate un paio perfino dentro il letto, e quella sarebbe stata la sua fine. Ma grazie a Dea, per il momento, la Suite Reale del Petit Trianon restava l’unico luogo della Reggia il cui accesso fosse rigorosamente vietato alle donne. E fintanto che la legge lo avesse consentito, lui non intendeva far loro alcuna concessione. Aveva già il suo bel daffare per tenere a freno le ragazze della colazione, quelle dell’idromassaggio e tutte le altre incaricate di vegliare sulla salute del suo sesso, non appena avesse varcato la soglia della Suite. Ci mancava solo che si spingessero fisicamente a infastidirlo lì, in camera sua!
 Il sovrano si stropicciò le palpebre, tentando di scacciare l’infausta prospettiva. Quella mattina si sentiva già abbastanza in crisi, senza bisogno di crearsi nuove ansie. Disponeva di circa tre ore per mettersi a suo agio, prima di affrontare i soliti, disgustosi preparativi per la domenica di visite. Quella era la ragione per cui esistevano le sexy-sveglie, i feromoni sintetici e tutto il resto. Le donne non potevano entrare nella Suite Reale, ma avevano comunque escogitato un sistema efficacissimo per indurre un’erezione persistente prima del Sex-test. Dopodiché, in virtù del Patto Monarchico, potevano disporre del suo regale sesso come meglio credevano, che a lui piacesse o no. Il tutto per un interminabile turno di sei ore.
 Passandosi la mano fra i capelli, Vir sgusciò fuori dal letto e si diresse verso la finestra. La stanza era impregnata di fragranze femminili, ma le sue ghiandole, per il momento, restavano immuni da qualsiasi tentativo di stimolazione.
 Domenica di visite. Di gran lunga la più odiosa fra le incombenze della regalità.
 Con uno scatto nervoso il Re scostò i pesanti tendaggi della finestra che dava sul parco e avventurò lo sguardo fra i rami prossimi a fiorire delle camelie che circondavano la reggia. Con la coda dell’occhio notò il battito d’ali di un upupa che andò a posarsi su un ramo vicino alla finestra. Appena si fu posato, l’uccello drizzò la cresta ed emise il suo canto nuziale.
 Marzo, la stagione degli accoppiamenti, pensò il Re, pervaso da uno strano struggimento. Delicatamente, per non spaventare l’upupa, Vir aprì le imposte e fu investito da un soffio d’aria fresca che in un istante rinnovò l’aria viziata della camera, ancora satura delle essenze erogene diffuse dalla Sexy-sveglia. In quel momento, il canto dell’uccello fu interrotto da un verso straziante, simile ai vagiti di un neonato, che proveniva dalle aiuole sottostanti. Allarmato, Vir si sporse dal balcone e sorprese un grosso gatto nero intento a spruzzare di urina i roseti dei viali.
 «Fiori, uccelli, gatti... tutti in calore, stamattina» mormorò, stizzito. «Tutti tranne me.»
A stento represse la tentazione di colpire il gatto con uno dei preziosi soprammobili che appesantivano la scrivania. Richiuse il battente con un colpo così secco che l’upupa volò via, ed anche il gatto interruppe il suo assolo amoroso.
 Neppure l’alito della primavera era riuscito a metterlo di buon umore. Anzi, gli aveva perfino provocato un leggero mal di testa.
 Vediamo che succede sull’altro fronte. Sospirò, in preda a un inizio di depressione. Attraversò l’ampio salone a piedi nudi, quasi correndo sui tappeti che ammorbidivano i marmi policromi del Petit Trianon. Si sedette di fronte alla scrivania intarsiata Luigi XVI e accese il video del circuito interno. La telecamera n.1 era puntata sul gigantesco monolito fallico della Place d’Armes, eretto un secolo prima a simbolo della Monarchia del Maschio. Al pari di altri monumenti del passato, quell’abnorme struttura in plastocristallo rosa era abbastanza kitsch da diventare quasi subito uno dei più celebrati al mondo. Malgrado ciò, Vir XIV aveva sempre trovato la sua vista piuttosto opprimente, per cui si affrettò a cambiare inquadratura. Spostandosi sulla telecamera n. 2, poté seguire la coda delle visitatrici che si stava formando davanti ai cancelli. Cospicua, in effetti, ma non tanto da destare particolari ansie.
 In realtà, avrebbe potuto scorrere sul memo tutte le prenotazioni, in modo da ottenere un quadro dettagliato del programma previsto dalla Sovrintendenza per quella domenica. Ma l’esperienza, unita ad una buona dose d’intuito maschile, gli permetteva di cogliere, con una sola occhiata, molte più informazioni di quante ne avrebbe ricavate da un arido elenco di nomi.
 Il Sovrano zoomò sul gruppetto di donne più vicino, per meglio studiarne le caratteristiche. Quella mattina, notò, c’era una leggera prevalenza di donne dalla carnagione fucsia, molte delle quali completamente calve. Questo gli fece ricordare che il fucsia-skin-head, era stato molto in voga nei Caraibi, una ventina d’anni prima. In effetti si trattava di signore piuttosto in su con gli anni, con evidenti problemi di obesità: probabilmente facevano parte di una gita per la terza età, organizzata da un circolo sociale della Federazione Caraibica (da quell’angolazione non riusciva bene a leggere la targa).
 La telecamera n. 3, puntata sul Parcheggio Nord, inquadrava un lussuoso aviopanfilo targato Regno Capense, attorniato da un gruppo di signore dalla colorazione dermica piuttosto elaborata. Inoltre era riuscito a scorgere due enormi flybus, ancora in volo, uno dei quali recava lo stemma delle Repubbliche Oceaniche. A occhio e croce, non c’era spazio per altri gruppi organizzati. Nel pomeriggio, naturalmente, si sarebbero aggiunte le solite coppie di anziane dei dintorni, che non avevano niente di meglio da fare che trascinarsi lungo i saloni della reggia. Ma, tutto sommato, si preannunciava una domenica abbastanza calma. Se la sarebbe cavata con la classica sfilza di domande, molte delle quali stupidissime (del tipo: ma davvero non le dà fastidio quella specie di proboscide?), molti sbadigli, pochi sguardi veramente interessati e qualche toccatina, da parte delle dame più superstiziose.
 Nessuno di quei gruppi aveva motivo per prenotare un Saggio spermatico. Odiava quel genere di prestazioni, specialmente quando erano a scopi didattici. Certe volte, in occasione di semplici gite scolastiche, i suoi genitali subivano sollecitazioni così prolungate, che alla sera doveva fare i conti col solito, doloroso, priapismo che era un po’ la “malattia professionale” della Dinastia. Ne avevano sofferto tutti, da Vir I a Vir XIII, e ancora la medicina non era in grado di offrire un rimedio adeguato. Grazie a Dea, scolaresche a parte, un leggero sovrapprezzo sul biglietto bastava a scoraggiare la maggior parte delle visitatrici dal richiedere prestazioni extra.
 Vir spense il monitor del circuito interno e si lasciò cadere su un rigido sofà di epoca imperiale. Si chiedeva quanto tempo sarebbe trascorso prima che la Sovrintendenza escogitasse qualcosa di veramente stimolante: l’ora del Sex-test si stava avvicinando e, se il suo regale sesso fosse rimasto in quelle condizioni, in base al Patto Monarchico, niente e nessuna avrebbe più potuto costringerlo ad uscire. Poteva farlo di sua volontà, naturalmente, accettando il trattamento farmacologico diretto. Per quanto ripugnante, quella era l’unica scappatoia prevista dal Codice Regio Panfederale: altrimenti rischiava la deposizione. Nel corso della sua reggenza, infatti, aveva già usufruito per due volte del Patto Monarchico, ed alla terza sarebbe seguito un processo, per accertare le motivazioni del rifiuto. In caso di colpevolezza, il suo corpo sarebbe stato soppresso, mentre il suo spirito sarebbe andato a ricongiungersi con quello dei suoi predecessori, nel Pantheon Androceo.
 Buffo.
 Agli inizi del Regno, il solo pensiero di quella prospettiva lo terrorizzava. Ma ultimamente l’idea tendeva a riaffiorare con maggior frequenza. E non la trovava più così malvagia. Anzi, cominciava a trovarla preferibile all’eccitazione chimica procurata dalle infermiere della Sovrintendenza, per soddisfare la curiosità di vecchiette rimbambite.
 Forse era soltanto un effetto della primavera... oppure stava cominciando ad invecchiare. Da quanto tempo sedeva su quel trono? Quattro, cinque anni? Così, su due piedi, non riusciva neppure a ricordarlo. In ogni caso, si trattava di un bel po’ di tempo, e forse era giunto davvero il momento di abdicare.
 In quel momento, un boato di razzi frenanti scosse la Reggia dalle fondamenta. Le vibrazioni fecero vacillare un preziosissimo satiro in cristallo di Murano che Vir utilizzava come fermacarte. Il Re balzò a sedere, spaventato, mentre la statuetta cadde dalla scrivania, frantumandosi sul pavimento.
 «Oh, che disastro!» esclamò con disappunto.
 Non si tratterà di una trovata della Sovrintendenza per stimolare i miei sensi intorpiditi?, pensò nel chinarsi a raccogliere i cocci di cristallo. Mentre era ancora chino sul tappeto, un’ombra scura planò davanti alla finestra, producendo nuove vibrazioni. No, nessuna trovata, si disse, con un pizzico di delusione. È soltanto un vecchio flybus in fase d’atterraggio.
 Forse era lo stesso che aveva scorto in aria da una delle telecamere, senza riuscire ad identificarlo. Con i cocci del satiro raccolti in una mano, Vir raggiunse nuovamente il monitor e si collegò con la telecamera n. 2. L’aeronave stava ruotando su se stessa, in attesa dell’autorizzazione di parcheggio. Nell’ansia di cogliere i dettagli, il Re strinse più forte i cocci fra le dita e si tagliò. Stupefatto, lasciò cadere i frammenti di cristallo e fissò imbambolato il sangue che invadeva la ferita. Piccole rigature rosse si stavano ramificando sul palmo della sua mano.
 È un segno, pensò. Un brutto segno. Quel flybus non potrà recarmi che guai!
 Se lo sentiva dentro, un presagio caldo e appiccicoso come il sangue che si stava coagulando sopra la sua pelle. Rivolse nuovamente l’attenzione al video, in tempo per seguire la manovra di allineamento dell’aeronave. Adesso poteva leggere la scritta in oro che ne occupava l’intera fiancata:
Liceo Scientifico Levi-Montalcini - Lucca
 Lucca!
 L’Italia era uno dei pochissimi Paesi al mondo ad aver mantenuto, nei licei, il corso di Paleoandrologia. E quella aveva tutta l’aria di una gita d’istruzione!
 

  1. M on Lun, 08/31/2009 - 17:36

    Di Travicello in frasca, concordo con Er Traska: d'ignoranza son pieni i cocomeri.

    Carissima Angelica (ti rispondo in questa sede, visto che di Re Travicelli si tratta), mi unisco alla tua soddisfazione nell'essere riuscito a laurearmi ignorando l'opera di Giuseppe Giusti. In effetti, per quel poco che riesco a ricordare, più di rane che di poeti si studiava, nelle nostre aule.
    Il suo omaggio alla favola di Esopo, comunque, è così incredibilmente calzante al libratto argentato che mi viene il dubbio di essermi ispirato a lui, invece che all'originale. Forse c'è stato un tempo in cui conoscevo a memoria l'opera omnia del Giusti, e poi, con l'età, ho dimenticato tutto (in fondo, non sono così giovane).
    Magari, Giuseppe ed io siamo stati compagni di banco, in quel di Monsummano.
    Chissà.
    Ecco alcuni versi (alla rinfusa) del Travicello Giustiano che molto si addicono al mio Vir XIV:

    Che Principe sodo,
    che santo modello
    un Re Travicello!

    veduto quel coso,
    «È questo il Sovrano
    così rumoroso?»

    Chiamatelo Altezza,
    ché torna a capello
    a un Re Travicello.

    Volete il serpente
    che il sonno vi scuota?
    Dormite contente
    costì nella mota.

    M

  2. trasciatti on Mar, 09/01/2009 - 00:57

    Si è scatenato un travicembalo, a quanto vedo. Non posso che tripudiarne (pur in mezzo a tutti i miei affanni). Comunque, nel mio coacervo di ignoranza, suggerirei di andarselo a rileggere Giuseppe Giusti, non credo sia autore così minore da ricordarlo solo per i suoi trascorsi travicembalistici.

    saluti.

    er direktor

    p.s. antonetti, se senti il divino Merlino, digli che i suoi aforismi sono apparsi

     

     

     

  3. M on Mar, 09/01/2009 - 11:22

    Mi fa molto piacere che siano apparsi gli aforismi del divino mago pittore-poeta, peraltro notevoli e pieni di genuina arguzia brianzola. Più difficile, tuttavia, è che appaia di nuovo lo stesso Merlino. Proverò a evocarlo da sotto il suo albero(dopotutto è stagione di fichi), ma non è detto che l'incantesimo funzioni.

    devotissimo M

  4. elisabetta bordieri (non verificato) on Lun, 09/07/2009 - 14:51

    ...travicello non travicello, caro mauri, leggerti e sapere che ci sei, ormai fa parte dello scibile umano e rilassa i cuori...sveglia sexy a parte...;-)

    elisabetta bordieri

  5. M on Mar, 09/08/2009 - 20:50

    Potrei ricambiare ogni parola, e lo faccio con tutto il cuore, Eli. Grazie di leggere e, soprattutto, di scrivere.
    PS: anche la sexy-sveglia, ogni tanto, può essere molto rilassante... perché lasciarla da parte?