Prose microbe

Dom, 10/28/2007 - 22:56

Prose microbe

 
Nel 2002 Alessandro Trasciatti ha pubblicato un libretto di brevi narrazioni, o più genericamente prose, dal momento che sono microracconti che a volte sfiorano il poemetto, il frammento, la pagina di diario, la folgorazione visiva....insomma, Prose per viaggiatori pendolari (Mobydick). E' il primo dei suoi libri a raggiungere (zoppicando) le librerie. Fino a questo punto la sua produzione era stata tutta alla macchia, poverino. Una bella soddisfazione per lui è stata la prefazione di Manlio Cancogni, davvero brillante e appassionata, tanto che più di un lettore ha dichiarato di aver creduto che Cancogni esagerasse a lodare il libro. Ma poi si sono ricreduti, quegli scettici, ma cosa credevano? Che il Trasciatti fosse uno dei tanti pennaioli della domenica? Scrive Cancogni: "I racconti di questa preziosa raccolta superano di rado le venti, trenta righe. Ma fra la prima e l'ultima si apre un grande spazio, schiuso sulla misteriosità del nostro esistere. Procedendo nella lettura ci sentiamo invasi dal piacere di una progressiva ascesa verso la liberazione. Questo piacere talvolta è così vivo da sfociare nell'ilarità anche quando il soggetto del racconto è molto serio, o addirittura tragico..." Commento a dir poco lusinghiero. Cancogni coglie la natura ibrida di queste prose, la loro essenza tragicomica, tuttavia sottolinea più il comico che il tragico, l'ironia più che la sofferenza sottostante. Ma non ci sarebbe ironia se il fondo non fosse appunto tragico, disperante, sgomentevole. Il mistero del mondo genera più angoscia che stupore e può essere reso innocuo dal riso, ma precariamente. Una volta che si è smesso di ridere torna lo sgomento. Fino alla risata successiva, naturalmente, perché dell'abisso si deve ridere se non si vuole essere sopraffatti. La liberazione, però, è sempre provvisoria. 
Ecco qualche brano della raccolta:

Il mio aereo della sera
Eccolo di nuovo lassù, il mio aereo della sera, piccolissimo e silenzioso, con la sua sottile striscia bianca sul tramonto. non c'è sera che si dimentichi di passare. Non è molto che l'ho scoperto, che mi sono accorto della sua insistente regolarità. ma, passa e ripassa, ce l'ha fatta ad attirare la mia attenzione e adesso non manco mai all'appuntamento. Sono convinto che se n'è reso conto ed è soddisfatto. Ora che si sa osservato rallenta il suo volo, indugia qualche attimo di più per farsi guardare meglio e mi ammicca malizioso. Io, per adesso, mi limito a fargli un cenno con la mano, perché prenda confidenza con me e si avvicini. Ma quando sarà ad una ragionevole distanza lo schiaccerò sul vetro della finestra col mio pollice inesorabile: non sopporto gli aerei vanitosi.

Porte chiuse
In ogni casa c'è una porta che non viene aperta quasi mai. E' quella della camera degli ospiti di riguardo, aspettati invano da un'anno all'altro. E'quella del salotto buono, con i mobili coperti da lenzuola in attesa del pranzo di nozze del figlio quarantenne. E'quella dove si conserva imbalsamato il caro estinto fino al giorno del Giudizio. Nessuno ha la chiave della porta tranne il capofamiglia e solo lui ha il diritto di oltrepassare di tanto in tanto,quella soglia venerata.
In casa mia si tratta, inspiegabilmente, della porta del bagno e per questo, da quindici anni, siamo tutti costretti (tranne mio padre) ad utilizzare i servizi igienici dei vicini. Naturalmente paghiamo loro il disturbo.

Porte aperte
C'è una porta, in casa nostra, che rimane sempre aperta e che nessuno riesce più a chiudere. La ruggine ha ricoperto i cardini e l'umidità ingrossato il legno. anche il falegname è stato costretto a desistere dall' impresa. Così l'abitazione si riempie di vento e di pioggia, di mosche e di zanzare. Si fermano i passanti e le comitive di turisti, c'invadono le stanze e restano a cena. I ladri vanno e vengono e così la polizia. Ogni giorno nuovi arrivi, nuove scorrerie su per le scale e lungo i corridoi.
Abbiamo chiesto al governo di dichiararci in stato di calamità naturale, ma non abbiamo mai avuto risposta. E continuiamo a destreggiarci fra torme di bambini ed ebrei erranti, spacciatori di droga e rappresentanti di enciclopedie. Non esiste più intimità alcuna e ci siamo adattati a fare l'amore fra due ali di curiosi. Lo stesso accade quando andiamo in bagno o preghiamo prima di addormentarci.
L'unica nostra speranza è che venga promulgata una legge che ci consenta di tornare ad essere una casa chiusa.
 
Caffè
Oggi ho proprio bisogno di sentirmi in pace, un po' con me stesso, un po' con questo e con l'altro mondo. Siedo a un tavolino del bar più bigio di Pisa, il mio preferito, l'unico ad avere l'ombra anche d'estate a mezzogiorno. Insieme al caffè che scende giù goccia a goccia sento scivolarmi nello stomaco una specie di tranquillità, di piacevole assenza. E d'un tratto il caffè sono io. Mi scendo lungo l'esofago e mi arrivo giù in basso, in mezzo a mille succhi gastrici. Ma ora sono anche l'asfalto della strada. Sento i passi dei pedoni sulla schiena e le ruote delle macchine. Non mi danno fastidio, come ci fossi abituato da sempre. Adesso invece sono il vecchietto seduto al tavolino accanto che fuma una nazionale. E sono già quella. Mi sento tra le sue labbra un po' vizze che certo, anni fà, ne hanno baciate di ben più fresche e umide. D'un tratto sono le risate che attraversano la piazza come raffiche di mitra e poi la macchina che si viene a parcheggiare proprio davanti a me. Ma sono già diventato la penna che scrive e il foglio che è scritto e l'inchiostro che scorre e poi vedo l'occhio che legge ed io che scrivo, leggo, vedo, penso. Il cerchio si è chiuso nel breve tempo di bere un caffè, ma resto ancora un po' all'ombra del bar Bozzi.
 
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