Turno di notte

Lun, 01/12/2009 - 21:03

Turno di notte

Un utente anonimo ci manda questo racconto da Opicina, precisando che si tratta di un testo scritto per il “noto mensile Spugna moderna”, organo d’informazione dei commercianti di asciugamani e simili. La redazione del mensile sembra averlo rifiutato. Anzi, non ha neanche risposto, dice l’autore anonimo. Egli però ammette di non avere ricevuto nessun incarico dalla rivista e che l’invio del racconto alla redazione è stata una sua iniziativa, volendo egli sfondare come scrittore ma non trovando nessuna rivista letteraria che lo prendesse in considerazione. Così ha pensato di rivolgersi ad una rivista di settore, scrivendo qualcosa ad hoc. Poi ha mandato il racconto a noi che “notoriamente pubblichiamo anche cose brutte”. Lo ringraziamo per la stima

Turno di notte ad Opicina

Non è  mica facile pensare di scrivere qualcosa per una rivista che vuole parlare di asciugamani. Neanche in senso metaforico. E’ difficile scrivere sugli asciugamani. Ci ho pure provato anche in senso letterale fisico, ma sono troppo flaccidi, specie quelli di spugna, se provi a scriverci qualcosa sopra ti viene male, si piegano, si ammosciano e l’inchiostro sbaffa. E poi non è facile scrivere in generale. Io lavoro alle Poste. C’e chi ci farebbe la firma. Un buon lavoro, dicono tutti. Chi pensa che stare alle Poste sia un buon lavoro vuol dire che di neuroni buoni e funzionanti non gliene è rimasto neanche uno. Ma non voglio fare il solito lamento dell’impiegato triste, per rispetto a chi il lavoro non ce l’ha. Li capisco che vorrebbero lavorare alle Poste. Però, dico io, a stare alle Poste di notte c’è da spararsi. Turnista di notte alle Poste, saremo cinque o sei in tutto questo stabile. Noi e le lettere, le luci al neon, la radio accesa. Aspettiamo il furgone degli arrivi. Fino all’una stiamo a girarci i pollici. Poi dovremo fare le corse per smistare tutte le lettere che arrivano. E’ un lavoro a balzi, a scosse. A volte, quando mi vedo qua dentro, mi verrebbe da piangere. A volte invece mi fanno pena i miei colleghi. A volte invece li ammazzerei, affogati nell’acido. E’ un lavoro che lo potrebbero fare gli scimpanzé, questo di smistare le lettere nelle caselle con su scritte le destinazioni. E la radio a tutto volume. Le luci al neon. Comunque qualcuno si diverte. Hanno portato un fornello da campo in pensilina. L’acqua nel pentolone sta per bollire. Ora buttano gli spaghetti. C’è anche il ragù che scalda. E poi bevono. Vino rosso versato da un fiasco in bicchierini di plastica.

Ma io volevo scrivere sugli asciugamani. Le avventure degli asciugamani, come fantasmi che svolazzano nel magazzino delle Poste, come mante oceaniche, larghe di ali acquatiche che però sbatacchiano nell’aria chiusa del magazzino, nel bruscolìo della polvere di carta. Se ci fossero almeno questi fantasmi asciugamani a tenermi sveglio nella notte postale, una piccola notte postale di provincia in attesa dei furgoni che fino all’una non arrivano… Ma niente, solo eterne discussioni sull’orario di lavoro, la pensione, le ferie, gli arretrati, il sindacato che non serve a una minchia, e come si stava bene quando si stava bene, perché si stava bene alle Poste, c’era tempo di fare tutto il proprio comodo. Non come ora che devi stare qui a timbrare il cartellino e girarti i pollici. Una volta, quando avevi fatto il tuo, potevi anche andare a casa. Invece ora no, stai qui imboscato e ti giri i pollici. Non c’è più dignità del lavoratore. Che poi magari il capoturno ti chiede pure se gli dai una mano a scaricare il furgone, che non è mica mansione tua, te devi pensare solo a smistare le lettere. E altri discorsi a cazzo così, tutta la notte. E niente fantasmi, niente asciugamani, niente di niente. Neanche quel po’ di sana paura che ti monta di notte se tu fossi solo in casa, invece che qui, quando non dormi e vedi una faccia che ti sbuca in camera dalla finestra. Tu sei lì nel letto che non dormi, al terzo piano del condominio. Che cazzo di diavolo è con quella testa che punta contro i vetri e ti guarda da spiritato con la bocca storta, gli zigomi rossi e poi tira su un dito, una mano e ti si avvicina per toccarti, maledetta bestia, chi cazzo sei? Almeno tu stessi sognando potresti dire: ora mi sveglio. E invece non stai mica sognando, è tutto vero perché il demonio c’è sempre stato. Ecco, dico io, neanche quelle paure lì ci sono nella notte postale.

(In alto: disegnatto notturno n.3)