Dark0: Uomini e pecore, nona puntata

Dom, 05/02/2010 - 09:46

Dark0: Uomini e pecore, nona puntata

 

9.

Non esistono più i negozi di generi alimentari.
I pochi che sono rimasti vivono di stenti e comunque non sono certo uguali a quelli che c'erano vent'anni fa. Lungi da me dal fare il nostalgico, però quella tipologia di negozietto retrò con il bancone trasparente per i salumi e i formaggi e le pareti a scaffali riempite di scatolame e vasetti, oggettivamente, non si trova in giro con tanta facilità.
Quando avevo undici anni e andavo a scuola da solo, le tappe obbligate del percorso verso la Fratelli Bandiera, erano sostanzialmente due.
La prima era l'edicola della signora.
La signora era una vecchia donna dall'aspetto streghesco che indossava sempre vestiti neri perché in lutto del marito. Non aveva la benché minima conoscenza delle riviste che vendeva e soprattutto dei fumetti che giravano nella sua edicola. Nel millenovecentoottantasette nelle edicole non erano riservati interi reparti per quelli che i più neanche riconoscevano come fumetti, ma che chiamavano solamente giornalini. Per questo motivo, la signora – o chiunque ci fosse dietro di lei – aveva deciso che il posto giusto per Zagor, Mister No, Martin Mystère e Dylan Dog fosse insieme al materiale porno. Una decisione tattica: Blitz, Playboy, videocassette hard e raccolte di lettere perverse di donne vogliose, vicino a Satanik, Diabolik e Dylan Dog. Per Topolino e Braccio di ferro il destino era diverso: loro stavano alla portata dei bambini, quelli sì che erano fumetti. Il materiale porno invece, era posto ad altezze sconfinate rispetto alla mia statura da piccolo hobbit e a volte alcune riviste erano inaccessibili anche per certi adulti non particolarmente longilinei.
Per cui, il tipo di approccio che avevo con la signora, nonostante i miei undici anni, assomigliava a quello che ha uno scafato fruitore di materiale pornografico con il proprio edicolante. Io, imbarazzato nel chiedere se fosse uscito il nuovo numero di Dylan Dog, mi ritrovavo puntualmente ogni mese a spiegarle che il tipo di fumetto che stavo cercando stava nei piani alti. Qualora l'avessi vista riluttante, avrei dovuto indicarle mestamente lo scaffale preciso e lei, con la lentezza della megera che prende le zampe di rospo per la sua pozione, si sarebbe prodigata nel prenderlo e consegnarmelo con il sorrisetto di colei che sa cosa contengono certi giornaletti dell'ultimo scaffale. La signora sapeva bene che i bambini come me certi fumetti, non si limitano solo a leggerli. Non avevo modo, né capacità di smentire tutti questi sottintesi e, date le duemilalire alla signora, mettevo velocemente nella cartella Il fantasma di Anna Never con la stessa furtività con la quale avrei nascosto in una busta opaca la mia copia de Le Ore mese.
Qualche anno dopo arrivarono le fumetterie e la signora sparì con i suoi giornalini irraggiungibili e le sue zampe di rospo. Forse vendette l'edicola, forse morì, forse morì e qualcuno al suo posto vendette l'edicola. Forse.

La seconda tappa era l'alimentari di Saverio. Esatto. Non c'era altra definizione al negozietto che faceva angolo con via Sicilia. Per tutti era: l'alimentari.
L'alimentari di Saverio era un posto sudicio e piccolo, poco illuminato e con l'aria pregna dell'odore di pecorino sardo di grotta. Saverio era un ciccione con il camice bianco – blanda simulazione di una igiene improbabile – che adorava vedere noi piccoli esserini affamati e unici clienti abituali, andare da lui a chiedere di prepararci il panino per l'ora d'intervallo. Nel suo alimentari, Saverio stava dietro un bancone con tre tipi di formaggi e due tipi di salumi infilzati da cartellini gialli che ne indicavano il prezzo. Dietro, in compartimenti di legno simili a scrigni, custodiva rosette o panini al burro. Tutto intorno i cartonati del latte, le buste della pasta, i vasetti dei sottaceti e una miscellanea di generi alimentari che suscitavano un interesse pari a zero in qualsiasi ragazzino della mia età.
Altre erano le tentazioni.
Nell'angolo a destra appena entrati c'era l'attacchino della patatine. Un luogo mistico dove Saverio agganciava un assortimento di patatine incredibilmente ricco e colorato: Fonzies al formaggio, Yonkers, Pata, Pata contadina, Pata gusto pizza, Pata al salmone, Pata ipercroccante. Un paradiso del fritto e del conservante che aveva la sua diretta controparte dolce nell'angolo opposto: nella Grande Cesta.
Tutte le merendine della Kinder e del Mulino Bianco, le barrette al cioccolato, i Galak, i Biancorì, le Girella, gli Yo Yo, tutti venduti sfusi e tutti messi nella Grande Cesta con una targhetta con su scritto:

A scelta 500 £

Saverio ci sapeva fare. Aveva messo la Grande Cesta da una parte e l'attacchino dall'altra proprio come le sfingi della prova che deve superare Atreyu nella Storia Infinita. Bisognava resistere alla tentazione di guardare le statue negli occhi e bisognava andare avanti decisi verso il suo bancone per ordinare il sano e nutriente panino con mortadella o con pancetta senza mai fermarsi, né all'andata né al ritorno. La forza di volontà era messa a dura prova dalle esortazioni di Saverio nel provare la nuova patatina speciale al ketchup con in omaggio la manina attacchina o la nuova barretta al cioccolato con wafer e riso soffiato della Milka, a sua detta, imperdibile. E bastava avere ottocento lire in più avanzati dalle duemila del Dylan Dog, per cedere nella tentazione ipercalorica di Saverio. Usciti da Saverio si andava a scuola orgogliosi più che mai, non tanto delle patatine acquistate, ma per quella manina così appiccicosa e così elastica che si attaccava al banco o alle piastrelle del bagno o, con molto più gusto, alle orecchie di Giuffrida.
Altri tempi chiaramente. Non per fare il nostalgico.