L'importanza delle pulizie...e tre



3. Un caschetto alla Louise Brooks
"Come Louise Brooks, allora?"
Marika ce la sta mettendo proprio tutta. Ha anche rinunciato a parlare per concentrarsi al massimo. Studia la testa dell'amica sotto le sue forbici, le valuta da tutte le angolazioni degli specchi che rivestono le pareti del negozio ribollente del vapore dei caschi, ravvolto in un odore dolciastro di cannella.
Mentre la mano destra calibra la misura del taglio, la sinistra è impegnata in una cernita meticolosissima di doppie punte da eliminare, ciuffi da spuntare, fili da accorciare, ciocche da arrotondare, il tutto tenendo presente le simmetrie prestabilite. La mente invece è assorbita nel turbiglione delle memorie cinematografiche, un viavai di capigliature platinate, cotonate, arzigogolate di ricci o assottigliate in grovigli di treccine, decine di messe in piega, mechés tricolori, hennés, frange, colpi di sole e tosature mozzafiato.
Tra cinque minuti sarranno due ore da quando ha cominciato a seguire le indicazioni ogni minuto più dettagliate del commissario Bovera.
"Insomma Graziella, io questa Louise Brooks proprio non la conosco!" sbotta finalmente Marika provocando un'ilarità generale tra le altre clienti, non del tutto sicure di poter ridere senza conseguenze.
Di questa titubanza si accorge subito Marika, che del commissario è amica sin dai tempi delle medie quando rubavano insieme in un magazzino di vestiti usati i loro stessi indumenti di cui le rispettive madri si sbarazzavano a loro insaputa. Si trattava quasi sempre di jeans scampanati, stinti di pallido a furia di centrifughe, tagliuzzati con le forbici e disseminati di nomi di ragazzi e cuori e disegnini sgorbiati con pennarelli coloratissimi, oppure di camicette con lo jabot e minigonne lucidissime con lo strass.
"Ditemelo voi, ragazze" - senza badare al fatto che tre delle quattro avventrici superano a vista i sessant'anni - "qualcuna di voi sa chi era questa Louise Brooks che faceva Lulù?"
Il commissario Bovera è arrossita. Evita di sorprendere allo specchio il proprio sgomento catatonico. Secondo Rondo, questa espressione le viene al cospetto di uomini  attraenti e ogni volta che riceve un giudizio da qualcuno. La sicurezza del suo vice, di solito incapace di articolare una frase completa se non aiutato da qualche salutare colpo alla schiena per sbloccare la balbuzie, la induce a credergli.
Una volta, quando si erano presi insieme una sbronza per festeggiare la risoluzione di un caso, ha persino osato ironizzare sulla sua risata. Tra un sorso e l'altro di Bonarda aveva notato come la Bovera ogni tanto aggiri l'abituale reazione catatonica con una risata che ha inizio dalle spalle magrissime per gonfiarsi nell'addome pressoché scarno di seno e andare a concludersi nello svelamento completo delle gengive, almeno due volte più alte dei denti, ridotti a escrescenze ossee di quella fascia di carne tendente al vermiglio dove è facile individuare i resti sminuzzati dei pasti della Bovera, parchissimi.
"Comunque mi sembra che così vada benissimo. Anzi, va benissimo. Un bel caschetto, non è questo che volevi?"
La Bovera annuisce, spiandosi in tralice nello specchio alla sua destra. È avvolta nel lenzuolo bianco con impresso all'altezza del cuore il monogramma MHD, le iniziali di Marika Hair Design.
"Ti spiacerebbe" abbassa la voce sempre guardinga nei confronti degli specchi, "ti spiacerebbe sfoltirmi le sopracciglia."
Quando è sicura di non essere ascoltata da alcuna osservatrice indiscreta aggiunge: "E magari le... basette". Sussurrandolo, si sfiora il labbro superiore con il dito sinistro, benché non sia mancina, e abbassa ulteriormente lo sguardo, ormai rivolto ai segmenti filacciosi di capelli sparpagliati sulle piastrelle salmone del pavimento, sicura che non occorre pronunciare quell'altra parola - baffetti - a cui allude la svelta alzata di spalle.
Marika le sorride amichevole. Forse dovrebbe confortarla ricordandole quanto la stima mentre passa la lama del rasoio dietro la nuca di Graziella: anche in quella zona la peluria prospera.
Sono le undici e diciassette, controlla il suo Swatch con gli orsetti la Bovera. Non si è ancora abituata al giorno libero di mercoledì. Il primo anno di servizio cadeva di martedì, mentre dal secondo anno fino al mese scorso, quando è stata promossa e trasferita dal commissariato di Pavia a quello di Milano, è sempre stato il giovedì. In ogni caso, considera il giorno libero una perdita di tempo. Non riesce a distogliere il pensiero dal lavoro e è costretta ad arrovellarsi per trovare un impegno per la serata. In caso contrario i genitori le organizzano uno svago sociale, ovverosia un appuntamento con un figlio - ma ultimamente si tratta più spesso di un nipote o peggio di un parente di conoscenti - di qualche loro amico alla disperata ricerca di una brava ragazza come lei.
"Ma se giro con la pistola, mamma!" prova a sottrarsi almeno a questa odiosa descrizione, che culmina così: "Una ragazza da sposare con cui metter su famiglia. Non credi che sia arrivato il momento, a trentaquattr'anni?"
L'ultima volta, mercoledì scorso, le hanno appioppato un produttore all'ingrosso di parrucche per neonati la cui vera passione sono le salamandre. Il suo sogno infatti è aprire un negozio di fritture di salamandre.
Oggi invece è riuscita a rimandare a domani, confidando magari in un contrattempo sul lavoro, l'appuntamento con un venditore di scarpe usate.
"Scusa, papà, dillo tu alla mamma che è un lavoro che non esiste!" ha provato a incrinare l'alleanza dei genitori.
Mai che li abbia visti una volta litigare. Almeno uno screzio, toh, un fraintendimento, o come lo chiama Rondo un disguido. Macché. Se qualcuno volesse rendersi conto del significato della parola armonia e di quanto possa essere insostenibile un mondo basato su di essa, basterebbe presentargli i suoi genitori. Neanche a farlo apposta si chiamano Felice e Gioia e la loro fiorentissima catena di negozi di vestiti per taglie forti si chiama "Esuberanze festose".
"Come va il lavoro adesso che sei a Milano?" Marika previene la domanda rituale di Graziella a questo punto del taglio, vale a dire di che colore si potrebbero definire i suoi capelli.
"Come dappertutto" scantona per darsi una controllatina allo specchio.
A Marika piace ascoltare Graziella parlare di lavoro. Rivede la sua compagna di banco sempre un po' assonnata con la testa afflosciata tra le mani. Appena veniva interpellata da un professore subiva una trasformazione che aveva del miracoloso. Assumeva una dimestichezza di modi tanto brillante da lasciare perplessi sul luogo comune a proposito del nesso tra gli occhi, l'anima e l'intelligenza. Se fosse stato vero che gli occhi sono lo specchio dell'anima e da loro trapela l'intelligenza, Graziella non avrebbe avuto uno sguardo opaco, velato da un castano appannato che le lenti degli occhiali sfocavano in un due palle vitree inerti. Fortunatamente il progresso le è venuto incontro. Da quando porta le lenti a contatto, scelta inizialmente osteggiata dai suoi stessi occhi che le provocavano copiose lacrimazioni nei momenti meno indicati,  gli occhi  si sono animati di un castano rossiccio, tendente al pelo di certi volpini al guinzaglio di anziane signore.
Di colpo la Bovera ricomincia a parlare. La sbadataggine è in qualche misura all'origine di queste sue pause riflessive: "Per fortuna che non tutto quello che succede è tragico. C'è un caso per esempio che si trascina da generazioni. Pensa che in commissariato c'è una famiglia di poliziotti che se lo tramanda di padre in figlio. Lo chiamano il caso del bisnonno di Tesio. Questo tale se n'è andato al creatore da un pezzo, ma sembra - perché di prove non ce ne sono - diciamo pure sembrerebbe che i suoi successori abbiano ereditato il vizio di introdursi in appartamenti disabitati e, come dire..."
Una signora anziana, con l'espressione stravolta dai bigodini in cui si aggricciano onde rastremate di un bianco acceso da sprazzi violacei, dà di gomito alla ragazza che le sta facendo la manicure.
La Bovera segue la scena dallo specchio di fronte a sé.
"Insomma, si mettono a defecare con violenza inaudita."
"Defecare con violenza inaudita! E come si fa?" Subito dopo aver espresso la sua curiosità la signora avvolta in un grembiule nero rifugia la testa sotto il casco.
La voce del presentatore radiofonico spazza via il silenzio esterrefatto che circonda le clienti, spaventate dalle possibili rivelazioni di una donna tanto "bizzarra" quanto schietta. Il contrario, insomma di quanto ci si augura in un normale pettegolezzo dal parrucchiere.
"Col taglio ho finito. Vuoi che la Betta ti rilavi i capelli così vengono più gonfi come piacciono a te?"
"Sì, perché no? Tanto ho tutto il tempo che voglio."
Le clienti tacciono, un po' risentite dalla deriva... fecale della mattinata. Dai loro sguardi si intuisce l'implicita promessa di non prendere più appuntamento da Marika il mercoledì.

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