L'importanza delle pulizie...e 23





23. Via Arbe, 31
Ida Zapparrata è una vecchia fanatica di particolari.
Si è accorta a prima vista della differenza di tonalità di beige del tailleur della Bovera. "La giacca ecru e i pantaloni kaki. Ah, se ancora ci vedessi come un tempo vi potrei dare una mano" si lamenta esibendo un paio di lenti spessissime.
L'androne di via Arbe, 31 è soffuso di una luce giallastra penzolante da un filo di plastica avanti e indietro dal soffitto. La faccia di Rondo si illumina e si abbuia secondo un'intermittenza che la vecchietta studia divertita. "Lei non è mica furbo, mi ricorda il mio terzo marito."
Tra qualche minuto dovrebbe unirsi a loro il dottor Stazzi, l'amministratore del condominio. L'hanno contattato nel tardo pomeriggio di ieri non appena la Verdelli ha rivelato il luogo degli incontri clandestini con Scomazzon: "Un loschissimo appartamento in via Arbe, 31". Dormiva ancora, si è giustificato spiegando che lavora tutta la notte fino all'alba e nonostante questo ha fatto presente di essere laureato, pertanto avrebbe molto gradito se invece di signore l'avesse chiamato dottor Stazzi.
Ida suggerisce di trasferirsi ad aspettare nel suo bugigattolo per non mettere in imbarazzo la gente che passa. Sottolinea l'osservazione schiarendosi la voce. "Quando ero ancora la portinaia c'erano dei giorni in cui mi divertivo proprio."
Rondo guarda la Bovera per capire se è conveniente sorridere.
"Allora, venite?"
La seguono dentro una porticina fatiscente che nessuno dei due aveva notato sulla parete a listelli di noce chiara a fianco della rastrelliera a muro delle cassette della posta.
"Qua dentro ci ho fatto portineria per più di trent'anni. Non che fosse una gran vita. Almeno non mi annoiavo come adesso. Da quando mi hanno licenziata ho dovuto ricoprire tutta la vetrata sull'ingresso con una tenda, così è come se mi avessero murata dentro. Cosa volete, aprire la finestra che dà sulla via non me la sento. Troppi mascalzoni in giro."
Solo un piccolo abat-jour acceso su uno sgabello tra una sedia a dondolo con i ferri della maglia abbandonati e un televisorino da cui spunta un'antenna a forma di cerchio. L'inconfondibile tanfo di minestrone sudoroso a rendere l'atmosfera pesante.
La Bovera inciampa su una bottiglia. Un liquido scuro fuoriesce e si spande sul tappeto a fiori. Dall'odore parrebbe whisky, un whisky a buon mercato. Si scusa, ma la vecchia la ignora e la invita a sedersi sul dondolo: "Aspetti che tiro su la maglia". Rimane in piedi scandalizzata dal proprio televisore: "Non è nemmeno a colori, pensi" e lo accende.
Rondo è rimasto fermo sulla porta. Un cerino barlumina per qualche istante tra le sue dita. "Se vedo non credo" sussurra, piacevolmente perso nei maneggi della signora Zapparrata curva sulla sintonia del vecchio apparecchio Brionvega da cui sobbalzano immagini indecifrabili ritmate da un stridio metallico che a sprazzi gli rammenta la voce di Sandro Ciotti.
Imbarazzata, la Bovera si rivolge alla vecchia con la massima cortesia possibile: "Non si preoccupi, può spegnere. Così magari ne approfitto per farle qualche domanda".
"Va bene, va bene, e poi a quest'ora non c'è niente di decente da vedere. Io ormai parlo così poco con qualcuno. Da sola conosco tutte le risposte alle domande che mi faccio": emette un singulto che le ingobbisce la schiena, è il suo tentativo di ridere.
Al termine di un battibecco con un tasto reticente ha spento il televisore che per qualche secondo si è prodotto in un ronzio.
Adesso ascolta la Bovera: "Per caso ha notato qualcosa di strano o di insolito in questi giorni?".
"Può essere più precisa, per favore?"
"Purtroppo non posso" si impone di mantenere il tono cortese, combattendo la sua naturale avversione per i vecchi covata nei soggiorni estivi a Salice Terme.
"Be', una cosa ci sarebbe. Sabato mattina l'ascensore non funzionava. Non mi chiedete perché, di queste cose tecniche se ne sono sempre occupati i miei mariti. Mi risponde lei a una domanda, commissario? A cosa serve sposare quattro mariti e mezzo se poi arrivi a settantanove anni e non te ne rimane neanche uno?"
"E l'altra metà?" azzarda Rondo suscitando un imprevedibile scatto di riso della Bovera.
"Era bigamo. Dovrei dire è bigamo, perché è l'unico sopravvissuto. Peccato che l'abbiano scoperto se no a quest'ora non sarebbe in prigione per una così piccola debolezza. I veri mascalzoni sono altri, mi dia ragione."
La Bovera ha fretta: "Torniamo a sabato. Stava raccontando dell'ascensore".
"Lo sa che ha rovesciato per terra la mia ultima bottiglia di whisky? Non è che manderebbe questo scansafatiche che non si capisce come mai prende ordini da una donna qui dietro l'angolo dove c'è un bar e mi compra una bottiglia nuova?"
"Va bene, adesso va. Però lei prima mi finisca di raccontare di sabato."
"Ma cosa devo dirle di più? L'ascensore si è fermato. Tanto dentro non c'era nessuno. Credo che se n'è accorto proprio Stazzi. Il sabato mattina va a riscuotere gli incassi della settimana. Me lo ricordo perché non la finiva di bestemmiare. Lui è grasso e a salire per le scale può venirgli anche l'infarto."
La Bovera sbadiglia, l'eccitazione le provoca sempre un senso di sonnolenza. Sta aspettando la telefonata per avere la conferma che la parete dell'appartamento dei Colorni confina con quella dello studio di Scomazzon in via Arbe, 31. Questo sarebbe un motivo validissimo perché Corridoni spicchi un mandato di perquisizione. Ormai però è tardi. Anche se la telefonata arrivasse subito le procedure per il mandato slitterebbero comunque a domani mattina.
"Rondo, fammi il favore di andare a comprare questo whisky alla signora."
"E anche un pacchetto di sigarette, anzi quattro. Qualsiasi marca purché sia senza filtro."
La Bovera è assente, Rondo aspetta ancora qualche attimo prima di osservare: "Ma in casa sua non c'è odore di fumo. Come fa a fumare così tanto in un buco del genere sempre chiuso?".
"Chi è che comanda qui, lei o la signora?"
"Vai Rondo, fa' come ti dice. Già che ci sei comprale una stecca."
La Bovera controlla il telefonino. Contrariamente alle sue abitudini è acceso. Allora scorre il programma delle chiamate senza risposta. Niente da fare: nemmeno Rovini si è ancora fatto vivo.
"L'ascensore..." rimugina mentre la vecchia ha acceso di nuovo il televisore ottenendo un'immagine un po' sfocata di un gruppo di persone che cantano a squarciagola una canzone della sua adolescenza.
"Come l'hanno stravolta" si rammarica il commissario. E senza avvisare la vecchietta esce dalla porticina per tornare nell'androne del palazzo.
Sola, è colpita dal fruscio monotono dei rumori che piovono dalle scale. Come tanti sussurri messi assieme. Riesce a distinguere una porta che si chiude, nient'altro.
Quando preme il bottone dell'ascensore si gira di scatto, sicura di avere una persona alle spalle. È ancora sola. Si sente osservata. Sbadiglia sforzando la mascella che le duole, il solito dente del giudizio che prima o poi sarà costretta a farsi togliere.
Entra in ascensore: le porte si richiudono immediatamente e il neon perde vigore in pochi secondi. È chiusa dentro al buio. Meno male che non ha ereditato la claustrofobia dalla zia Guia, la sorella ballerina del padre.
Dopo un paio di tentativi di forzare le porte individua la pulsantiera alla sua destra e preme sistematicamente dall'alto al basso tutti i bottoni che le capitano a tiro. Visto l'esito inconcludente si concentra sul bottone più alto e su quello più basso dove abitualmente si trova il tasto dell'allarme. Tutto inutile. Allora comincia a urlare: "Aiuto, sono rimasta chiusa dentro in ascensore. Aiuto! Rondo sei lì?". Solo silenzio. Tace anche lei. Presa dalla frenesia comincia a tastarsi le tasche da cui rinviene il telefonino. Preme un bottone a caso, il quadrante si illumina: la colonnina a destra del segnale è vuota. Ricomincia a urlare.
Saranno trascorsi dieci minuti, la Bovera nel frattempo ha riprovato a forzare le porte, si è accanita sui bottoni della pulsantiera a casaccio, quindi ha preso a battere il pugno contro le porte, sempre urlando aiuto. Mentre per l'ennesima volta controlla il campo del telefonino, una voce da fuori la tranquillizza. "Un attimo solo e la tiriamo fuori."
"Rondo, sei tu?"
Sente solo un rovistare metallico. Due colpi assordanti. Poi finalmente il neon comincia a scattare colpi di luce e le porte si spalancano davanti al sorriso indugiante del dottor Stazzi che si presenta facendole il bacio a mano.
"E Rondo?"
"Sono qui, commissario. Pare sia saltata la corrente."
"Mi fate uscire di qui o no?" L'ingombro della massa di Stazzi copre lo stesso spazio dell'ascensore, la Bovera è costretta a spintonarlo per ritrovarsi di fronte la signora Zapparrata: "Non le piaceva la trasmissione?" con l'indice accusatorio puntato su di lei.
"Guardi, il neon si è spento di nuovo ma questa volta non è andata via la corrente" alla vecchietta non sfugge proprio niente.
La Bovera sta per girarsi quando un tintinnio di chiavi anticipa di poco lo scatto della serratura del portone. Tutti si aspettano una prostituta con il suo cliente: non il sorriso stolido di Scomazzon. Né sorpreso né spaventato, semplicemente irritato.
"Fabula in lupus" si concede un adagio latino Rondo, ci fosse almeno Vanzegoni a correggerlo.
"Vedo che c'è una riunione in corso" ostenta l'irritazione di poco fa, ma ora il viso scolorito in un pallore terrorizzato salta persino agli occhi  indeboliti di Ida: "Tutto bene, professore?".
"Stavate aspettando me?" guarda Rondo nel rivolgersi alla Bovera.
"Cosa stava dicendo a proposito del neon, signora Zapparrata?": il commissario così risoluto esalta la verve di Rondo, che prende sottobraccio e lo conduce verso l'ascensore.
"Ha smesso di funzionare anche se la corrente non è andata via."
"Curioso..." Stazzi si improvvisa pensoso senza perdere con la coda dell'occhio i movimenti, per la verità inesistenti, di Scomazzon.
"C'è un modo di tenere ferme le porte mentre io do un'occhiata all'ascensore?"
"Be', se la Ida ci porta qui una sedia."
"Le do una mano io" si lancia Rondo al meglio di sé.
Scomazzon assiste immobile agli ordini e agli spostamenti che si susseguono nello stesso androne in cui non incontra anima viva da anni, almeno da quando la Ida è stata licenziata. Da allora, anche quando invitava la Verdelli, è sempre entrato da solo: Giannalisa lo seguiva a distanza di cinque minuti, ma spesso la faceva attendere delle mezz'ore prima di premere il bottone del citofono. L'attesa la rendeva ancora più servizievole. L'eventualità di incrociare una prostituta lo elettrizzava, allo stesso tempo era certo che se fosse capitato davvero solo una volta tutto quel posto avrebbe assunto una concretezza ingombrante. Lui sguazza nelle allusioni, si infiamma a immaginare, coltiva l'eccitazione all'ombra del piacere altrui.
"Tutto bene?" lo squadra la Bovera.
"A dire il vero, no. Vorrei capire la ragioni di questa incresciosa intrusione" poi Scomazzon corregge lo slancio: fin da quando era piccolo la madre gli diceva che le persone aggressive si comportano così per mascherare una timidezza maggiore. "Be', diciamo che sono impreparato agli imprevisti. Non mi piacciono le cose poco chiare."
"La matematica, immagino."
In questi tre giorni Scomazzon si è chiesto di continuo quale sensazione avrebbe provato nel caso fosse stato scoperto. Non aveva messo in conto questo disinteresse che gli monta dentro e lo rende sempre più impaziente. Vuole prove, fatti, conseguenze.
"Non ha voluto che l'aiutassi." Rondo scorta la Ida che barcolla con due sedie di legno che le pendono dalle braccia vizzose, scoperte dalle maniche del vestito di cotone giallo canarino arrotolate alla Baricco, a un palmo dalle ascelle. "A me ha lasciato la torcia elettrica."
"Una la mettiamo vicino alle porte, così" la Ida si muove con destrezza: "questa invece può servire se volete controllare il plafone."
Scomazzon è insofferente, il braccio che Stazzi gli ha appoggiato sulle spalle lo indispettisce.
Gli stivaletti di capretto della Bovera salgono uno alla volta sulla sedia piazzata al centro della cabina.
"Attenta, commissario. Ecco, tenga la pila."
La Bovera allunga la mano nel vano del plafond, la fa scorrere sul neon. È tiepido, le dita saltellano avanzando fino a un oggetto solido. Metallico, no, di legno: "Sembrerebbe un... martello".
Scomazzon si libera del braccio di Stazzi: se non trovasse l'equilibrio all'ultimo sarebbe steso per terra.
"Ecco, ce l'ho!" Il neon si accende.
"Forse faceva contatto con l'attacco dell'elettricità. Il mio secondo marito faceva l'elettricista."
Scomazzon non riesce più a nascondere il suo stravolgimento: guarda il martello che la Bovera ha sfilato dal plafond dell'ascensore e adesso porge un po' incuriosita a Rondo.
È delusa: "Strano, avrei scommesso che ci fosse qualcos'altro".
"Intende dire qualcosa di metallico tipo un punteruolo?" È stato il dottor Stazzi a parlare: con tanto di titolo infatti gli si rivolge il commissario, delusa e risorta nel breve lasso di un sospiro.
"A cosa si riferisce, dottore?"
"Vede, come qui in questo palazzo sanno tutti, compreso naturalmente il professor Scomazzon" al quale rivolge un'occhiata fugace, "io ho a che fare con gente di ogni risma. Quindi si rende, come dire, necessario che io provveda alla sicurezza dei miei, ma soprattutto delle mie inquiline. Quel martello è uno dei modi con cui garantisco la loro sicurezza. Il plafond dell'ascensore è il nascondiglio segreto dove tengo la mia arma. Ma a questo punto dovrei dire era. Comunque, il martello ce l'ho messo lì l'altra sera dopo che l'ho usato per appendere un quadro su in una stanza. Di solito ci tengo una sbarra di metallo. Mi ci trovo meglio per minacciare i violenti."
"Bene, ci faccia vedere questa sbarra."
"Solo un attimo" con destrezza impensabile, considerata la mole e l'altezza, Stazzi si è accucciato sul pavimento e con la semplice pressione di una mano in un punto buio della parete ha fatto scattare l'anta di un ripostiglio.
"Questo era un altro nascondiglio segreto" ridacchia.
"Ecco qua." La Bovera impreca a voce muta. Rondo si sfrega le nocche su e giù sulle ginocchia. Scomazzon distende i palmi sulla testa ispida di peluria. La Ida osserva tutti e tutto. La sbarra di metallo è un tubo cilindrico di circa venti centimetri, delimitato a entrambe le estremità da un pomello tondeggiante.
"Questa non è l'arma del delitto."

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