Uomini e pecore, settima puntata

Dom, 04/18/2010 - 06:42

Uomini e pecore, settima puntata

 

7.

Elfo e Fantasia sono i nomi di due ragazzi trovati tempo fa in un bosco della Toscana. Erano i figli di due figli dei fiori che vivevano totalmente distaccati dalla società civilizzata e si erano costruiti un loro spazio vitale accanto a una grotta in una selva in provincia di Pisa. I loro figli erano nati e cresciuti con loro e non avevano conosciuto nessun altro all'infuori dei genitori, di un paio di cani e qualche altro animale domestico.
Elfo e Fantasia sono stati sottratti ai loro genitori che avevano solo otto e dieci anni e assegnati ai servizi sociali che si sono occupati del loro reinserimento all'interno della società nuclearizzata.
La notizia è piuttosto vecchiotta e mi viene in mente proprio adesso che sto per immettermi nella statale ventuno, osservando la vallata puntellata dalle macchie scure di larici e castagni che nascondono chissà quanti Elfi e quali Fantasie.
Sento da qualche parte che quest'associazione non è casuale e cerco di capirne il motivo, ma sono stanco e ho poca voglia di pensare e così accendo la radio.
Dovrei richiamare Desi.
Alle mie spalle la deviazione appena abbandonata, la mia Twingo che viaggia sulla statale ventuno, a destra e a sinistra scorre la Valle Stura, tutto è in penombra, la nebbiolina calata leggera e alla radio non c'è a niente che m'interessi davvero. Così la spengo. Seguo le indicazioni stradali, parte in italiano e parte in francese, e passo in mezzo a piccoli agglomerati urbani dall'aspetto rustico e fantasmatico.
Penso a Diego, l'altro me. Rinchiuso  magari in uno di questi posti dimenticati da Dio. Penso al Berlin e a cosa possa aver architettato di così roboante per il suo matrimonio da rintanarsi quaggiù. Penso a Stella e la vedo triste e sconsolata di fianco a un totalizzante Berlin; la immagino sbiadita come una vecchia carta geografica. Poi penso alla guida Michelin che ho consultato su internet prima di partire da Pisa. Ricordo di aver scelto il percorso più economico e di essermi appuntato i luoghi dove si prometteva un “visione panoramica”. Vedo quel post-it ancora attaccato al frigorifero. Il frigo. Penso al frigo e mi chiedo: quanto tempo devo stare lontano da casa per staccare la spina? Penso alle cose che potrebbero andare a male staccando il frigo per tre giorni. Cipolle dentro una bustina, brodo granulare, sottilette PerFette, latte in scatola, due confezioni di tonno e al diavolo chi dice che il tonno non si tiene in frigo: a me piace freddo come appena pescato. Penso alle pecore e agli agnelli, penso ai montoni, che freddo non ne possono avere ricoperti come sono di tutta quella lana. Mi chiedo se l'abbacchio è carne di agnello oppure no e se così fosse allora in quella somma mentale che avevo fatto guardando il gregge di Asia, quanti ovini ancora avrei dovuto aggiungere? Mi vengono in mente delle portate fumanti e delle altre statiche, bidimensionali, disegnate che girano su un enorme piatto addossato alla parete e due pile di piatti giganti con dietro i concorrenti. Uno di questi sono io e premo il pulsante e le portate prendono a girare. Esce Dolce e una casellina dalla mia parte ruota lentamente rivelando il mio quinto dolce della partita. Quello che mi servirebbe è un Secondo per fare il pranzo e servito. Un bel pollo. O un agnello. O un abbacchio. Forse è così che mi dice Corrado prima di passare all'altra manche. Posso farcela, sono emozionato e mi sudano le mani, ma non è sudore quelle gocce sul parabrezza. Questa pioggerellina proprio non ci voleva e se continua così finisce che mi addormento per strada prima di arrivare. Sono stanco.
Penso ad Asia.
Penso che potrebbe essere il diminutivo di Fantàsia.
Penso che quel delicato spostamento di accento sarebbe il modo perfetto per descriverla a qualcuno che non l'ha mai vista, qualcuno in grado di capire, qualcuno come Luigi.
Penso troppo.
Bersezio.
Sono arrivato.