Claudio Pozzi: Kalkudah

Sab, 05/23/2009 - 09:25

Claudio Pozzi: Kalkudah

Parto per Sri Lanka con un fardello di carte da tribunale: interrogatori, testimonianze, mandati di cattura. Vado a raggiungere mia sorella Marta ed i suoi tre compagni di viaggio per metterli al corrente degli eventi legali che li riguardano.
Per me è un'occasione insolita: non ho quasi mai viaggiato all'estero. Sicuramente mai così lontano.
Sono molto curioso, anche se in dieci giorni vedrò ben poco. Non ho ancora letto Ivan Ilich e i suoi discepoli ma intuisco quanta differenza ci sia fra il volare e il viaggiare. Del resto sono in missione: voglio comunque approfittarne.
C'è però un altro ostacolo alle mie intenzioni: negli ultimi giorni si è aggregato Fernando. E' il padre di Luisa, una delle compagne di viaggio di Marta. E' una persona pallosa ed instabile: è reduce da un intervento all'intestino e non fa altro che abbassare la panciera per sbandierare le sue cicatrici ovunque e a chiunque. Addio solitudine.
Siamo in ritardo di alcuni giorni: scioperi dei controllori di volo, uno scalo imprevisto di ventiquattro ore a Bombay. Abbiamo superato con una certa disinvoltura il muro dei bambini questuanti all'aeroporto. C'è chi non ci riesce e torna indietro col primo volo. Ho visto tanta miseria e tanto colore: profumi nuovi, confusione, musica, festa. In strada non sono riuscito ad assaggiare niente. Mi è rimasta tanta curiosità. Per fortuna sull'aereo per Colombo facciamo conoscenza con il generale dei Gesuiti dell'area indocinese e con il suo segretario. Anche a loro Fernando non risparmia una panoramica del ventre sconquassato. All'aeroporto c'è una macchina ad aspettarli: una breve sosta in un piccolo seminario lungo la strada e ci accompagnano dritti dritti alla stazione. Qui cominciamo a fare i conti con le particolarità espressive del popolo cingalese. Quando rispondono affermativamente scuotono la testa in un modo che per noi ha il significato della negazione. E sorridono. Roba da farti saltare i nervi. Peggio ancora: quando chiedi un informazione, pur di dartela te la danno sbagliata. E' così che ci troviamo su un treno con tutt'altra destinazione dalla nostra. Per fortuna riusciamo a decifrare l'errore dalla voce dello speaker. Dopo qualche ulteriore incertezza sul treno da prendere, ci accomodiamo nelle cuccette. Sopra la mia c'è una ragnatela con una famiglia di grossi ragni che penzolano dalla reticella portabagagli.
Fossi a casa non li risparmierei. Qui mi viene subito in mente che i passeggeri prima di me li hanno lasciati indisturbati: non ho da aver paura. Mi piace, sto cominciando a capire il posto. Mi addormento distrutto: la notte passa in un volo. Arriviamo alla stazione di Kalkudah alle prime ore del mattino. Ad aspettarci non c'è nessuno
Ci incamminiamo lentamente verso il villaggio, cercando di capire qual'è la casa. Sulla destra il palmeto e il mare. Qualche iguana ferma a godere i primi raggi del sole.
Arriviamo a un'incrocio: da lì comincia l'abitato. La nostra casa è la seconda. Più che una casa una capanna. Marta e Gino sono in veranda, Luisa dorme, Carlo è a Trincomalee per commissioni.
Noi siamo sfatti ma felici: ormai pensavamo di non arrivare più. Anche loro sono felici di vederci, Gino è sdraiato su un lettino: rapidamente prepara un chiloom di erba locale e me lo passa. Ha un piede fasciato. Mi accende il chiloom e comincia a raccontare. Tre giorni prima, visto che avremmo dovuto arrivare nel giro di qualche ora, era andato sulla barriera corallina per pescare qualcosa per noi: prima ancora di riuscire a tuffarsi aveva messo il piede su un pesce molto velenoso. Ora il piede è gonfio. Gino si toglie la fascia e me lo fa vedere: è di tutti i colori anche se il tono imperante è il giallo. Il gonfiore sale fino al ginocchio: comincio a impressionarmi. Mi chiedono se ho voglia di accompagnarli nella casa accanto, quella che dà sull'incrocio che abbiamo attraversato arrivando. Lì abita un vecchio che sta curando Gino con metodi tradizionali. Hanno piacere che io faccia da occhio esterno. E' passata a malapena mezz'ora dall'arrivo e mi trovo immerso in una dimensione che è lontana dalla mia abituale molto più dei quattro giorni di viaggio.
Ci accoglie nel cortile sabbioso la moglie dello stregone. E' molto anziana e cammina curva, quasi ad angolo retto. Ci fa accomodare e rapidamente prepara gli strumenti e gli unguenti. Arriva anche il marito: altrettanto vecchio ma diritto e carismatico. Ci saluta e comincia ad esaminare la gamba. Non è il veleno che lo preoccupa, è l'infezione. Sta cercando di ridurla.
Applica degli unguenti e ripulisce la ferita che è sotto la pianta del piede. Adopera delle forbicine arrugginite per tagliare qualche lembo di pelle marcia. Rifà la medicazione e ci congeda. Riprendo Gino sulle spalle e lo riporto a casa. Luisa si è svegliata e sta chiacchierando con Fernando. Ci sediamo ed arriva la padrona di casa con un vassoio. Ci porta il chai appena fatto: denso e dolcissimo. E' una bella donna. Vedova con una piccola schiera di figli, si è riaccompagnata con un giovane che si dà un gran da fare per sostenere l'economia della famiglia ed incrementare la prole: i due figli più piccoli sono suoi. Prima di affrontare la discussione sul piede e sullo stregone vado a fare i miei bisogni: mi porto un ciotolino d'acqua ed entro nel capannino in mezzo al giardino, sul retro. Mi accovaccio e subito un piccolo maialino si affaccia da un buco nel terreno, pronto a cibarsi dei miei escrementi: meno male che Marta si è ricordata di avvisarmi. Nonostante qualche piccolo imbarazzo, questo posto mi sta accogliendo.
Torno nella veranda e ci mettiamo a parlare. Secondo me la situazione è tranquilla, l'ayurveda mi è piaciuto: mi è sembrato limpido e sicuro di se stesso. Loro concordano. Dopo aver girato un paio di ospedalini della zona con medici laureati in Europa hanno preferito di gran lunga lo stregone del villaggio.
Passano alcuni giorni fra chiloom, chai, bagni sulla lunga spiaggia, qualche passeggiata, le medicazioni dello stregone e un po' di discussioni. Sono tutti coinvolti a diverso titolo nelle inchieste della magistratura fiorentina sui movimenti legati a Prima Linea. La questione più pesante per loro, a livello morale, sono le chiamate di correo dei compagni arrestati o magari ricattati. Da qualche tempo, prima della loro partenza, aveva cominciato a girare l'eroina che aveva reso alcuni dei loro compagni alquanto fragili.
Loro sono abbastanza tranquilli. Sono comunque partiti per fermarsi in India e dintorni almeno qualche anno: hanno tutto il tempo e la tranquillità per assistere da lontano allo sviluppo degli eventi.
Nel giro di qualche giorno l'ayurveda compie l'impensabile. L'infezione si riduce a vista d'occhio: la ferita è più pulita anche se aumenta di dimensioni via via che lui asporta tessuti. E' nato un problema: il focolaio dell'infezione è molto resistente ed è troppo vicino all'osso. Gino va portato di corsa all'ospedale di Trincomalee, da un medico che conosce i metodi di cura dell'ayurveda: a questo punto c'è da ricorrere a cure antibiotiche.
Io all'ospedale non ci vado: mi godo la tranquillità di questa capanna così confortevole. E' il genere di vita che ho sognato fin da bambino: semplice, corporeo, privo di eccessive sovrastrutture e fatto di relazioni umane più intense. Cammino scalzo ovunque, vado sulla spiaggia a fare il bagno o a comprare il pesce dai pescatori. Una volta mi allungo verso la cittadina più vicina: c'è qualche chilometro, noleggio una bicicletta. In banca cambio un traveller cheque: hanno dei libroni enormi che finora ho visto solo nei film di Sergio Leone. Tutto trascritto a mano: ora capisco come si possa campare trafficando traveller cheques in questi paesi. Al ritorno pedalo alacremente. Il sole si è alzato, fa veramente caldo. Restituisco la bici e mi faccio tentare da una bibita fresca, dopo giorni di chai. Mi danno una soda, gassatissima. Ne bevo alcuni sorsi ed immediatamente esplodono migliaia di gocce di sudore. Cerco di toglierle dalle spalle con la mano: non ci riesco. E' stato tutto così violento che le gocce si sono fermate sotto pelle ed ora sono pieno di piccole vescichette.
Ormai è l'ora di rientrare, domani ho l'aereo a Colombo. Vado a trovare Gino a Trincomalee e prendo il treno da lì.
Questa volta me la godo, osservo con attenzione la vita notturna che si svolge vivace nelle stazioncine, lungo la via del ritorno. Al mattino, in prossimità di Colombo vedo migliaia di persone uscire dai boschi ed andare a lavarsi alle fonti: un festoso rito collettivo prima di andare al lavoro nelle piantagioni o in città. Il treno va quasi a passo d'uomo e tutto intorno si svolge come al rallentatore: una dimensione di vita affascinante. Faccio in tempo a fare qualche commissione a Colombo: scambio i miei vestiti europei con alcuni ricordi per gli amici, e corro all'aeroporto. Sorpresa: il volo non c'è. Rimandato di due giorni. Non perdo neanche due minuti a pensare. Torno indietro. Dopo qualche ora sono sul treno, un'altra notte attaccato al finestrino. Arrivo a Kalkudah quando ancora tutti dormono. Entro nella capanna, appoggio i bagagli e mi cambio. Faccio tutto quasi ad occhi chiusi: è qui che mi sento a casa, molto più che a Firenze. Attraverso i campi riarsi con le Iguana che mi osservano: entro nel palmeto camminando a trenta centimetri da terra.
E' una sensazione completa, avvolgente. Entro in mare: poi mi appisolo sulla spiaggia. Ancora una giornata di vita reale, a casa mia. Stasera il treno e l'aereo mi riporteranno velocemente al delirio delle frenetiche e futili attività fiorentine. Lì ho una casa dove ho lavorato duramente per la ristrutturazione. I suoi muri mi sono ormai familiari: non vestono il mio corpo con la dolcezza di questa capanna.

(Spiaggia di Kalkudah, dal sito www.cestovatelskydenik.cz)

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  1. Kabala on Lun, 05/25/2009 - 07:31

    Obbravo Claudio!

    Tra lo Sri Lanka e il posto dove vivi ora, preferirei leggere un nuovo racconto ambientato tra il Tripesce e il Lillatro. Che forse potrebbero suonare esotici quanto Kalkudah...

    Libeccio-pride

  2. trasciatti on Lun, 05/25/2009 - 07:45

    Il libetico ha rimesso la testa fuori dal guscio! però, con tutto il rispetto, lasciamo stare per il momento il Tripesce e il Lillatro, ben venga qualche racconto lontano, siamo sempre piantati in questo fazzoletto di Toscana come stecchi rincarcagniti...

    ciao claudio, ciao libeccio

    diratti

     

  3. Antao.Sacarolhas on Lun, 05/25/2009 - 08:56

    Meglio i racconti che vengon da lontano...
    Meglio migrare altrove, in genere l'aria si fa soffocante e poi ci sono quelle maledette zanzare tigre che non ti danno tregua. Non ti lasciano neppure stare in riva al fiume ad aspettare che passi il cadavere del tuo nemico. Un continuo grattarsi, tirarsi pacche sulla schiena, shiaffeggiarsi per allontare quelle odiose creature. Ste infami potrebbero accontentarsi di succhiare solo il sangue
    La saliva è la responsabile di tutto...
    Limitarsi a succhiare il sangue, ma ste stronze sputano nel piatto in cui mangiano...meritano l'estinzione!

    Antao odeia os mosquitos!

  4. trasciatti on Lun, 05/25/2009 - 20:06

    Un mio amico di cui non faccio il nome, Stefano Baroni, odia allo stesso modo le meduse. Quando va al mare a largo, essendo egli serfeggiante, imbastisce sempre dei combattimenti con le meduse e ne fa strage. Non so, a qualcosa serviranno pure le meduse e le zanzare. Perché farle a pezzi? Lei, Antao, che è biologo marino, mi dia qualche lume in proposito. Grazie

    dirtrasha savastany

  5. angelica on Mer, 05/27/2009 - 10:04

    certo, il buon dio ha disegnato in modo che tutto serva a qualcosa. le meduse ai bagnini, (che sennò non lavorerebbero abbastanza), le zanzare alla bayer, i debiti alle banche. e poi si potrebbe continuare.

    bastian angelico

  6. trasciatti on Mer, 05/27/2009 - 10:12

    no no, non sono soddisfatto. voglio sapere a cosa servono le zanzare e le meduse nella catena biologica, cioè alle zanzare ci posso anche arrivare perché qualcun altro se le mangia, ma le meduse? chi se le mangia le meduse? possibile che il buon dio le abbia create solo per  assalire il polpacci di stefano baroni quando fa il bagno in mare?

    dirtrasha

  7. angelica on Gio, 05/28/2009 - 12:29

    le meduse, esattamente come le zecche, i protozoi, le spore, le lumache marine e l'uomo non se le mangia nessuno. siamo tutti sulla stessa barca.

    panurgo

  8. trasciatti on Gio, 05/28/2009 - 20:50

    I protozoi sono dei gran signori, l'ho sempre detto io. Grazie Panurgo

    protodir

  9. angelica on Ven, 05/29/2009 - 09:04

    prego, si figuri.

    protocollo.

  10. trasciatti on Ven, 05/29/2009 - 10:08

    Anzi, tanto per autocitarmi come si fa nelle migliori famiglie, l'ho proprio scritta in un racconto questa cosa dei protozoi, un racconto del Pistelli, bisogna che lo ritiri fuori (il Pistelli intendo).

    dir zoo

  11. trasciatti on Ven, 05/29/2009 - 10:14

    Che poi è un racconto che ho già messo sul sito, "Amori e disastri di ferragosto": http://www.trasciatti.it/?q=node/462

  12. Antao.Sacarolhas on Ven, 05/29/2009 - 11:09

    Gran signori? Non ci metterei la mano sul fuoco...
    In fin dei conti le infezioni da protozoi non hanno un decorso poi così allegro. Insomma, pensiamo al Plasmodium, l'agente eziologico della malaria, se ne sta nell'intestino dell'Anopheles e attraverso la saliva di quest'ultima viene trasmesso all'uomo. Il trypanosoma, altro protozoo infimo e bastardo con il suo complice, la mosca tze tze. La malattia del sonno, signori, ci rendiamo conto?
    E poi dove mettiamo le enteriti, fra le principali cause di morte?
    Le Amebe sembrano aver abbandonato tale phylum, si son prese il loro citoplasma e con i loro pseudopodi sono migradi verso lidi migliori...

    Ora che mi viene in mente: Federico II di Svevia morì in seguito ad una grave sindrome diarroica, un attacco di dissenteria...
    Diamo a Cesare quel che è di Cesare mentre a dio non diamo un bel nulla, piuttosto riconosciamo il ruolo storico delle amebe, dei protozoi, dei batteri e di qualsiasi altro essere vivente che ha posto fine all'esistenza di determinati personaggi storici...

    Tutti ricordano lo Yersinia pestis che infettò quel manigoldo di Don Rodrigo, ma ce ne sono stati anche altri! Più diritti per tutti!

    Sacarolhas

  13. trasciatti on Sab, 05/30/2009 - 09:27

    Ecco, ecco che torna il Sacarolla con la sua bile...ma i protozoi, se son così pestiferi, dovresti almeno riabilitarli come tirannicidi e sterminatori di prepotenti. Certo è che i protozoi sparano un po' nel mucchio e a chi tocca tocca, andrebbero un po' istruiti. Comunque son contento di parlare con qualcuno di preparato in questo campo, sennò noi letterati e pseudo-psichiatri-filosofi (leggi Vannini) chissà dove andremmo a finire. A me i protozoi stavano simpatici, in origine, ma ora preferisco certamente le pacifiche amebe. E le meduse? vogliamo spendere una parola per le meduse? grazie

    dirtrasha

  14. Antao.Sacarolhas on Mer, 06/03/2009 - 16:49

    Direttore, guardi che neppure gli individui appartenenti al genere amoeba son degli stinchi di santo!

    Si potrebbe chiedere a quell’ambulante di reliquie - il fratello di quell’altro, quel Vannini che si ostina a non far via la polvere dal suo uscio, - di procurarci qualche resto di santo da bollire in padella per ricreare quel brodo primordiale che ha dato vita a tutto quel che vede e a quel che non vede. Insomma cambiamo le condizioni, impostiamo vari parametri e ci liberiamo di tante specie animali fastidiose. Ma è un lungo e oneroso lavoro...

    Piuttosto, non denigri le meduse, le meduse sono più utili di quanto sembri... Con le loro proteine fluorescenti si è visto di tutto e si è in grado di localizzare qualsiasi cosa compaia e scompaia all’interno di cellule differenti: neuroni, cardiociti, epatociti, linfociti...
    Certo... alla sua esimia persona e all’altra, di quello sconosciuto di cui non si fa il nome, ma di cui si sa esser surfista, la medusa non è tenuta in considerazione. E lo sa perché? Perché non vi vedete alcun impiego. Potrei suggerirle delle lampade contenenti meduse che con la fluorescenza insita nel loro codice genetico a barre, emettano luce fluorescente una volta assorbite le radiazioni lunari. Lampioni da usare per illuminare l’uscio dello studio del Vannini, il Nedo, così che pazienti e detrattori lo scovino.

    Sacarolhas

  15. trasciatti on Mer, 06/03/2009 - 20:41

    Be', caro Sacarao, io non denigro affatto le meduse, nella mia ignoranza equina mi ponevo - seriamente - il quesito di che funzione svolgono oltre quella di pungere i surfisti. Il loro possibile utilizzo per la ricerca mi conforta, anche se non credo siano nate per quello. Nella mia testa resta l'immagine bellissima della loro fluorescenza e questo, in fin dei conti, mi basta. Anche fossero solo decorative, sono sicuramente meno dannose di noi.

    ossequiatti