Dark0: Uomini e pecore, quindicesima puntata

18.

Ci sono persone che quando si svegliano la mattina, permangono in uno stato vegetativo fino a quando non fanno colazione. Ecco: io sono una di quelle.
Come per il giorno, che finisce quando ti addormenti e inizia quando ti svegli, così questo limbo esistenziale termina non appena bevi un caffè. Forse in realtà finisce prima: in quegli attimi quando  il profumo dell'aroma arriva dalla cucina o quando uscendo di casa sai che non ci sarà altra tappa prima all'infuori del bar. In ogni caso, in quel limbo tra sveglia e risveglio, i miei pensieri sono tutti diretti lì: verso la prima colazione.

Abbasso il finestrino.
L'aria tersa entra dentro la Twingo nera e mi schiaffeggia il necessario per desiderare con bramosia il mio caffè. Ho anche fame. Ne ho tanta. Come se non avessi mangiato da un giorno e forse è così.
Provo a connettere i tasselli mancanti della sera prima e alla voce “cena” riconosco un vuoto.
Non ho cenato, non ho dormito in un letto comodo e soprattutto non ho ancora realizzato il perché di tutto questo. Ricordi confusi e frammenti di memoria si accavallano e si intrecciano cercando di rubarsi spazio l'uno con l'altro. Ne seleziono un paio random e vedo la bionda che si siede vicino a me, mi mette una mano sul ginocchio e mi dice come si chiama; vedo un divanetto beige dallo schienale rigido, ma dal sedile molto comodo, sul quale sono seduto; vedo una rivista di moda e gossip e io che la leggo voracemente e a pagina 123 ho l'impressione che nella rubrica “la dottoressa per te” si stia parlando proprio di me.
Caffè.
Caffè macchiato, cappuccino, latte e cioccolato. Quello che c'è, basta che faccio colazione.
Mi guardo allo specchietto. Sono impresentabile, ma questo è un problema che risolverò dopo.
Esco dal finestrino come facevano certi tipi ad Hazzard e affondo le All Star nel bianco. Tempo qualche secondo e avrò i piedi totalmente bagnati.
Mi guardo in giro.
Forse non sono più a Bersezio, penso. Ieri sera con la Twingo, ho preso la statale ventuno e mi sono avventurato verso il confine francese, direttissimo, in piena notte verso le Alpi Cozie, in un impeto di follia preadolescenziale. Ma no. Non l'ho fatto.
L'ho solo pensato e questo è il rigurgito di quel pensiero che mi conferma in qualche modo che sto ancora nella valle Stura, in ritardo e nel confine territoriale di Bersezio.
Caffè, caffè, caffè.
Impossibile cercare di capire le corrispondenze tra quello che vedevo ieri sera e quello che vedo ora. La neve ha mutato lo scenario. Vedo persone muoversi in lontananza. Rumori di macchine pesantissime dietro il lato di questa stradina dispersa nel bianco.
Lascio la Twingo aperta. Fiducia nel popolo piemontese, fiducia nella legalità dei paesi piccoli, fiducia nei confronti del mondo nonostante tutto e soprattutto constatazione magra che a nessuno verrebbe in mente mai di rubare una macchina in queste condizioni.
Mi tocco il culo con la destra e sento se c'è il portafoglio, parlando di ladri, mi viene il dubbio.
Me la faccio a piedi verso una direzione che sceglie il mio – mai come adesso – aberrante istinto.
La piazzetta, l'hotel, l'alimentari di Saverio, le casette del presepe e il bar. Un bar. Ma in questo momento il bar. Entro e vengo accolto da una musica disco incalzante. Faccio qualche passo indietro, guardo l'insegna: essenziale: bar. Non mi sto sbagliando. La musica è quella che è. C'è un po' di gente dentro, ma non m'interessa nessuno e a nessuno sembra interessare la musica. Vado al bancone.

– Un caffè.

Il mio limbo sta finendo.

– Caffè?
– Sì grazie.
– Si vuole accomodare?

No. Non voglio accomodarmi perché è tardissimo. Undici e trentasette segna l'orologio sopra la testa del barista. E un cornetto? No. Nessuno cornetto. E il bagno. Il bagno sì.

– Il bagno? - e forse grido troppo.
– In fondo a sinistra.

Ci avrei giurato. È sempre in fondo a sinistra.
E in fondo a sinistra vado. Evito di guardarmi nello specchio. Faccio il minimo indispensabile per stare bene, penso pure a lavarmi i denti, ma poi il dentifricio, lo spazzolino e tutta una procedura complessa mi si focalizzano davanti e l'immagine successiva del caffè sul banco, mi uscire senza sforzi dal fondo e girare a destra, direzione bancone. Faccio tutto con passo svelto e con le Converse mediamente umide. Vicino al mio caffè noto un piattino vuoto. Lo bevo amaro e tutto d'un sorso.

– Lo bevi sempre amaro e tutto d'un sorso?

Mi giro verso la voce femminile che sento alla mia sinistra.
Connetti, mi dico, connetti e non sbagliare. Pensa semplice. Cose semplici.
I frammenti della sera prima come per magia si giustappongono nella mia mente in un attimo. Dipanati, riorganizzati, riordinati cronologicamente come una pagina di excel alla cui ultima voce  corrisponde proprio lei.
Ciao, le dico, ma avrei voluto dirle Che diavolo ci fai tu, qui?

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