Marco Battista: Cento piccoli mostri

Mer, 04/16/2008 - 07:58

Marco Battista: Cento piccoli mostri

 

Sono meteopatico e ho imparato ad accettarlo con serenità. Oggi è una di quelle giornate in cui mi aspetto una loro visita. Senza combattere. Il cielo è plumbeo, tutto uguale, piove acqua mischiata a nevischio, è freddo, è domenica, ho finito il vino. Mi sdraio sul divano, completamente nudo per semplificare le cose, mi copro solo con un sacco a pelo che uso come una coperta. Li aspetto. So che verranno. Sono ragionevolmente certo che verranno. E infatti eccoli, puntuali, silenziosi, flemmatici. Hanno il corpo di cuccioli di cane. Si muovono incerti, teneri. Le loro teste invece sono sproporzionatamente grosse, come quelle di un dinosauro per intenderci, e hanno denti orribili e acuminati, come quelli di un tyrannosaurus rex (fatte naturalmente le dovute proporzioni). Sono insomma cuccioli di cane con la testa di mostro. Non abbaiano. Si muovono lentamente, scodinzolano. Non mi ribello, non li mando via, perché ho imparato che è impossibile lottare contro di loro. A volte riesco a non aver paura di loro, pur sapendo quello che vogliono farmi. Si arrampicano sul divano e pian piano mi circondano, come piccole bestie intente a nutrirsi del latte della mamma. Metto via anche il sacco a pelo, per semplificare le cose. Sono ormai circondato, altri piccoli mostri attendono sul pavimento il loro turno, mi guardano con occhioni sonnacchiosi mentre chiudono il naso fra le zampe o mentre si stiracchiano. Il pasto comincia. Con movimenti sorprendentemente decisi cominciano a strapparmi, a mangiarmi, li vedo scodinzolare mentre affondano ciechi i loro denti aguzzi nelle mie carni. Mi scorticano, mi svuotano, mi spolpano, e io non posso farci niente. Uno di loro si è portato via qualcosa, se lo è trascinato in un angolo della stanza, ora si è acquattato e lo divora. Deve essere un pezzo di fegato o di polmone, è una gelatina scura, sanguinolenta. Alla fine tutta la stanza è appiccicata di sangue. Le mie ossa sono dovunque, sparse, qualcuna negletta, le altre perlopiù tra le fauci di qualche piccolo mostro intento a sgranocchiarle. Li vedo non so con quali occhi, visto che i miei occhi non esistono più. Molti mostriciattoli dormono, fanno la pennichella. Ho come l'impressione che un raggio di sole ferisca la stanza adesso, per un attimo vedo un riflesso giallo-oro scolorare le cose e confondere i contorni, mi ricordo di pomeriggi sul mare in compagnia di ragazze, abbracciati, sonnacchiosi, salati, dopo aver fatto l'amore. Odore di catrame, odore di sperma, odore di fica ancora sulle mie mani. Il tuo respiro, il battito del tuo cuore, alcuni gabbiani che si stagliano contro il sole rosso, basso, desideroso di tuffarsi nel mare. Il rumore del mare, il ritmo del mare, della vita. Un movimento delle tue cosce, acerbe, sode, cosce che strusciano l'una contro l'altra, producendo un suono impercettibile, cosce acquattate contro la fica dopo essersi aperte in un'epifania d'amore, di sangue, di bellezza.

Com'è spengersi? Cos'è morire? Decadere e crescere sono la stessa cosa? Dov'è la mia casa? Esiste la mia casa? Sono solo nella mia casa, o qualcuno vive con me nella mia casa?

 

(In alto: immagine tratta da De monstruorum natura, causis et differentis, di Fortunio Liceti, 1616)