Alessandro Biagetti: Asfalto rovente estivo

 
 
 
«Cosa c'è stavolta?». La voce proviene da dietro una Ducati nel fondo dello stanzone.
«Non parte», prende fiato. «Più che altro, ci sono ricascato. Guarda che graffi!», e tira su le maniche della camicia, mostrando i gomiti. Stringe le labbra, come un bambino.
Il meccanico si pulisce le mani e si avvicina.
«Sei un testone», dice. Non sorride. Scuote il capo.
«Stasera incomincio a lavorare. Mi serve».
«Hai tre possibilità. Te lo ricompri, vai a piedi, chiedi un miracolo», ringhia. Poi prende una bomboletta e si avvicina al carburatore di una vecchia vespa lì sul bancone. Gli dà le spalle.
«Con tutti i soldi che ti ho dato potresti essere più gentile. O più intelligente». Luca si volta ed esce, sbattendo la porta.
«Scusa», riapre subito l’entrata del negozio, «magari ti ho deconcentrato».
«Si», si volta nero in volto, «mentre pensavo al tegame di tu' ma'».
«Hai appena perso almeno un cliente». La porta sbatte di nuovo, più forte.
Luca è furioso. Prende di scatto il manubrio della bicicletta, appoggiata al muretto fuori dall'officina. Corre, senza montare su subito. Tiene stretti i denti. Un attimo dopo salta sulla sella e comincia a pedalare.
Veloce. Continuo. Irrevocabile, e per giunta contromano. All’incrocio non sfiora neppure il freno, poi svolta verso la discesa. Abbassa la testa e contrae i muscoli della faccia, pronto a frenare al momento giusto.
All’altezza di una villetta color ocra si alza sulle gambe e facilita con l’anca il colpo di coda della ruota dietro, poi un’ultima pedalata e si infila nel garage.
Lo accoglie uno sgabuzzino buio. Puzzo di nafta e marijuana.
Luca lascia la bici sulla parete sinistra, sopra una rete da letto appoggiata al muro, e cerca l'interruttore. La luce si accende su uno scooter pieno di graffi davanti a un bancone di attrezzi. Sulla destra uno scaffale di libri ingialliti. Va al centro della stanza e si mette in sella al motorino.
«Non puoi tradirmi ora… », sussurra. Accarezza il quadro comandi.
Stringe i pugni e li mette uno sull’altro, sul manubrio. Ci appoggia la fronte. Con gli occhi non guarda da nessuna parte. I minuti passano.
«Luca!»
La voce viene dal piano di sopra della casa.
«Ooo! Che vòi?»
«Ho sentito rumori in garage, non sapevo che eri te. Che ha detto?»
Luca esce dal garage. La mamma è sul balcone a stendere i panni.
«È un cretino. Ha detto di ricomprarlo. E che te sei un tegame. Ci ho fatto la croce sopra».
La mamma scuote il capo.
«Oggi escono i quadri coi voti», cambia discorso. «Ci fai un salto?»
«Oggi», ripete quella parola con rabbia, «oggi inizia l’estate. La pagella ha poche sorprese, ma questa è la mia estate. Devo pensare al motorino».
«Fai come ti pare».
Ritorna in garage, apre il secondo cassetto a destra dello scaffale degli attrezzi e tira fuori una scatolina di latta da caramelle. La posa sul bancone e l’apre. Dentro, dei pezzettini di roba marrone e un punteruolo. Tabacco e cartine invece sono nello scaffale dei libri, dietro al volume da F a K di una vecchissima enciclopedia.
Scalda un pezzetto di fumo fino a poterlo sbriciolare tra le dita, lo mischia al tabacco e rolla la canna.
Poi in sella del motorino. Accendino.
Pensa. Pensa. Boccate lunghe. Che dobbiamo fare. Cosa farebbe un meccanico?
L’ultima boccata. Di già.
Un piccolo giramento di testa. Un momento. Luca sorride, poi si mette in piedi. Terzo cassetto,materiale elettrico. Ghiera alla parete, attrezzi da meccanico.
Afferra la chiave del 9 e si stende per terra. Una lotta contro il tempo tra lui e l’iniezione manuale.
«È pronto», sente dalla mamma. Pausa pranzo. Si strofina le mani alla fruit e va su. Uscito dal buio del garage sembra luccicare al sole. Ha sul viso una patina quasi uniforme. Sudore. Il pezzo è rotto, non si ripara.
Non ride. Sale le scale e apre la porta col gomito per non sporcare troppo la maniglia.
A tavola poche parole.
«Risolto?», gli chiede la mamma.
«Ho visto che si è rotto. Forse il pezzo va ordinato. Forse no». Abbassa la testa sul piatto. Ennesima bugia per scongiurare attacchi di apprensione materna.
«E allora come fai?»
Una forchettata di pasta bella piena. Più tempo per rispondere.
«Non lo so. Magari lo riaggiusto da me».
«A che ora attacchi?»
«Cinque e mezzo, tipo. C’è da apparecchiare».
«E torni?»
Una fetta di pane passata sul piatto. Pomodoro fresco, buono.
«Dopo le pulizie. Forse prima delle due».
«Ti si viene a prendere noi?»
«State a dormire», dice, alzandosi da tavola. «Ora a letto ci vado un po’ io».
La notte artificiale della stanza lo accoglie guardinga. Si butta sulle coperte di lino come un bambolotto poco snodabile. Il motorino. Il lavoro. Lo stipendio dell’estate per comprarsi il computer. La birra dopo il lavoro. Birra a fiumi. A cena solo pasta o pizza per tre mesi, gli avanzi del ristorante. Birra, sole e turiste.
Cerca di dormire. Tiene gli occhi così stretti che suda di più. Le braccia, una sopra il cuscino e una sotto, sembrano morte. Suda anche da sotto i piedi.
L’estate. Unica occasione di fare due soldi e riposarsi pure. Il mare. Il bagno alle nove di mattina, non c’è ancora nessuno e l’acqua è fresca. La musica. Le bancarelle dei libri in pineta. Il gelato al pistacchio.
E poi le turiste. Per tutti i gusti. Vengono da Firenze e da Prato a fare le vacanze con le amiche neicampeggi. Gambe bianche e lentiggini sopra il sorriso. Tutto il giorno in spiaggia con lo zaino firmato pieno di creme solari. Ridono. Saltano. Si tuffano e tornano sulla spiaggia. Si aggiustano il costume e dicono che sabato vanno a comprarsi un tanga. Tutta una finzione, una passerella alla ricerca del grande amore col quale passeggiare al tramonto e sentirsi reginette romantiche fino a fine agosto.
Poi fine della storia perché stanno lontane. Solito copione. Ma intanto la magia dell'estate si è svelata.
Sente i passi della mamma. Scuote la testa e sbadiglia.
«Che ore sono?»
«Le quattro». Voce calma.
«Cazzo», risponde. Ma a voce bassa, dicendo a sé. La mamma non lo sente.
Si alza e va a lavarsi il viso. Poi in cerca delle pagine gialle, da solo il pezzo non l’aggiusta di certo.
Afferra il cordless e torna nella sua stanza. Chiude la porta, non si sa mai.
Prima un numero. Una voce gentile, ma non hanno il pezzo. Va ordinato e arriva in una settimana. Costa sui cento euro. «Grazie, la richiamo». Seconda prova. Terza. Il modello è vecchio e il pezzo va ordinato. Ci vuole anche dieci giorni. «Lo so che è vecchio, ma mi serve». «E io che ci posso fare?»,risponde la voce.
Telefona di nuovo al primo negozio, dove in sette giorni arriva. «Vengo a portarle un acconto?», dice Luca. «Non importa. Mi basta il nome e il telefono».
Finita la telefonata apre l'armadio. Jeans leggeri e una polo bianca. Classico. Li mette nello zaino assieme a un asciugamano. S'infila il costume, ripone le mutande sotto il cuscino e apre la porta di casa.
«Allora vado. Ciao».
Non aspetta la risposta. Scende in garage, sistema i pezzi smontati del motorino in una scatola e afferra il manubrio della bici.
Prima di chiudere guarda lo scooter. «Traditore!». Sputa.
Una pedalata ed è in strada. Direzione Gorette, poi Mazzanta.
Attraverso il centro, decide in un attimo. La pista ciclabile lungo il fiume è la migliore, c'è più fresco e si fa prima.
Lo zaino inizia subito a far sudare le spalle, ma non importa. Pedala in piedi, per fare più forza. Ogni colpo d'anca è il volto di una turista, un euro di mancia, una risata con gli altri due camerieri, un bagno a mezzanotte.
Il centro di Cecina è deserto. Non c'è una macchina che si muova o un ragazzo a spasso. Primo giorno di vacanza, tutti al mare.
Luca scende a testa bassa per la discesa dei palazzi nuovi e va verso il fiume. Gli occhi sembrano abbagliati e inizia ad avere il respiro affannoso. Il caldo non perdona e l'asfalto in questi giorni è una griglia fin dal mattino. Appena prende la stradina selciata sente subito la differenza: un po' d'ombra, le canne ferme a un vento quasi impercettibile, qualche pino a destra tra la pista e il fiume.
Pedala veloce. Questa è la sua estate e non vuol perderla. Gli euro da fame a fine serata sono importanti, la prima monetina di un aspirante zio paperone che già pensa al futuro. Glorioso futuro sotto l'asfalto rovente estivo mangiato a morsi nella foga delle pedalate.
Tra le canne qualche voce. Un uomo insegna al figlio come mettere l'esca sull'amo. Ma un attimo dopo sono già lontani. Luca non sente, tra una manciata di chilometri inizia la sfilza dei campeggi davanti alla pineta. Uno dietro l'altro, pieni di belle ragazze e di tedeschi generosi con le mance.
Il fiume è fermo, lo solca all'improvviso una lama bianca che vola con due ali di carbonio adatte ad una voga esperta e precisa. Luca e la canoa vanno in senso opposto.
Inizia la via del mare. Qui la gente c'è. Di macchine ne passano diverse, coi finestrini abbassati. Ci sono anche dei camper, tutti targati Germania. Vanno verso la Mazzanta e i campeggi.
«Stasera tutti al “Pirata”!», urla.
Se sono pronti i sughi di pesce, i tagliolini all'astice sono la fine del mondo. O l'orata alla griglia. Bisogna ripassare le lingue, anche se basta l'inglese. «For you, sir? Can I suggest you a mussel soup?». La zuppetta di cozze, gli pare di sentirla in bocca. Divina. Ottime anche le pizze, forno a legna.
Ma meglio di ogni cosa è il cacciucco speciale della cuoca. Quello non si tocca. Neanche a Livorno lo fanno così buono. Perché noi ci mettiamo passione. Sono i nostri sogni a condire il pesce e il pane, non il prezzemolo. Sono i miei sogni a far buoni i piatti che porto, a farmi dare più mance e ad incontrare più turiste. Non so che farò nella vita, ma so che lo farò alla grande. E sarò io in tutta l'energia del mio corpo e dei miei nervi. Salterò addosso alla vita in un amplesso senza fine.
Arriva davanti al “Pirata”. I pensieri lo hanno distolto dal mondo fuori per un attimo, ma ora posa la bici nella rastrelliera e osserva l'atrio fuori dal ristorante. Non è ancora preparato. Non ci sono gli altri camerieri.
Il forno è acceso, però, e dalla cucina arrivano vapori.
C'è tempo per un tuffo e una doccia rinfrescante.
Luca riprende la bici e si avvia verso il mare. Incrocia la sala giochi e la rosticceria, poi gli cade l'occhio sul casottino dell'elettricità. Si ferma un attimo.
C'è una scritta in nero che dice: «La Mazzanta non morirà mai».
Poco poetica, pensa mentre riprende a pedalare. Stanotte verrò a cambiarla.
L'estate non morirà mai.