L'importanza delle pulizie...e quattro

Ven, 02/22/2008 - 15:07

L'importanza delle pulizie...e quattro






4. L'ascensore
La mattina è cominciata presto per il professor Scomazzon.
Alle quattro e trentacinque è sgattaiolato fuori dal letto. Infilatosi le pantofole di cuoio marron, ha strusciato i suoi passi lungo il vecchio parquet della camera da letto. Senza preoccuparsi di fare rumore ha aperto la porta e l'ha richiusa dietro di sé con forza.
Di nascosto, la scorsa settimana è andato a ritirare i risultati degli esami della moglie. Oltre a confermare uno stadio di avanzata sordità a entrambe le orecchie, ne prevedono un costante progresso. Quasi a riprova della validità dei risultati, ha riaperto la porta e questa volta l'ha sbattuta con violenza. Invece di rassicurarlo, il silenzio che è seguito gli ha sobillato un'accensione di collera. Il fatto di non poter importunare il sonno di Loredana lo ha angustiato. Allora ha aperto la porta una terza volta, ha sfilato la chiave e l'ha infilata nella toppa che dà sul corridoio e con un riso finalmente compiaciuto l'ha chiusa dentro la camera.
In bagno, dopo essersi premurato di confrontare l'ora del suo orologio da polso giapponese con quella della sveglia nascosta nell'armadietto dove tiene gli accessori per la barba, si è prodotto in una serie interminabile di gargarismi chiazzando il rubinetto di fiotti rosso-verdastri ogni volta che sputava con foga l'impasto di saliva, sangue e collutorio.
Ha finito la toilette personale che erano passate da due minuti le cinque, come l'orologio da polso e la sveglia sincronizzati concordavano.
Le pantofole di cuoio marron costituivano l'unico legame  con la notte appena lasciata alle spalle. Il completo grigio ferro con la giacca abbottonata gli conferiva la solita aria impettita, solo un po' ricurva per via delle spalle cadenti, come nell'attesa incessante di qualcosa di abominevole. La cravatta di seta beige tempestata di coriandoli violetti sopra la camicia bianca metteva ulteriormente in risalto il pallore tutt'altro che patito del volto, di una floridezza spenta. Per essere più precisi, la sua figura strisciante nella direzione dei mocassini neri con le nappine corrispondeva all'idea desunta dai più prosaici film dell'orrore di un morto in piena efficienza.
Quando è uscito di casa indossava un impermeabile bianco abbottonato fino al collo.
Orientandosi con una naturalezza sempre offuscata da un impaccio gestuale, il professor Scomazzon evita gli ultimi tubi spuntati misteriosamente la scorsa notte dal pavimento del terzo piano di via Arbe, 31.
Dalla porta dell'appartamento confinante con il suo si stacca più chiaramente dalla concitazione di una lite un insulto: "Brutto bastardo!".
L'insulto non è rivolto a lui. Né la scenata che si è fermato a origliare lo coglie impreparato. La ragione per cui ha scelto proprio questo palazzo dove rintanarsi per lavorare in pace è dovuta al fascino esercitato dal mercimonio carnale che si svolge in quella che a tutti gli effetti è una casa d'appuntamenti.
Prendere in affitto questo appartamento avrebbe così assolto a due necessità del professore: la prima e più nobile di trovare un posto completamente silenzioso durante il giorno dove poter leggere, meditare, studiare; la seconda, decisamente più sordida ma non meno invitante, di sperimentare la vicinanza con la vita delle puttane che fin dalla primissima adolescenza lo attrae irresistibilmente senza tuttavia che lui sia riuscito a superare l'inibizione di "provare".
Quasi tutte le notti, non appena la moglie piomba in un sonno rumorosissimo, viene nel suo studio ad ascoltare dalle pareti sottili di cartongesso le prostitute al lavoro. Dalle dieci e mezzo alle tre, le ore migliori, assapora beato i gemiti, i rumori, i turpiloqui, le richieste più basse dei clienti, le proteste e le contrattazioni sul prezzo, seduto immobile sulla sedia della scrivania che provvede ad accostare alla parete sempre nella stesso punto. Ligio anche nella perversione, perché la perversione è una forma rituale di purificazione.
Fu una sera di queste che si accorse delle voci di Bianca e Alfredo Colorni. Loredana si era addormentata prima del solito davanti a uno sceneggiato ambientato in un convento. Lui stava consultando un dizionario tedesco, lingua di cui a distanza di trent'anni ricorda le poche parole apprese da una bisnonna paterna - austriaca, della Carinzia - suicidatasi con un colpo secco di forbici alla giugulare dopo che le avevano svaligiato la casa da cima a fondo privandola della sua amata collezione di coltelli.
Scomazzon giunse nel suo studio verso le nove. Si pulì le mani nel bagno cieco, quindi predispose la sedia all'ascolto accanto alla parete comunicante con l'appartamento 36.
Appena seduto in attesa delle prime voci, fu attratto dalla macchia di umido sul breve scorcio di parete alla sua sinistra, accanto alla porta del bagno.
Avvicinatosi, cercò di valutare la natura e soprattutto l'entità del danno in vista dei lavori che avrebbe dovuto fare di persona. Nessuno infatti aveva più varcato la porta dello studio da quando aveva deciso di interrompere l'amantato bisettimanale con la collega professoressa d'inglese Giannalisa Verdelli.
Passò un panno sulla macchia. Non vi scorse alcuna traccia di umido, solo un po' di polvere. La macchia si era fissata come un'impronta scura di forma irregolare, tendente all'ellissi, che sbavava i fiori stampati della carta da parati regalatagli dalla Verdelli in uno dei primi incontri, quando ancora non la costringeva ad ascoltare i gemiti delle prostitute seduta sulle sue ginocchia in estatico silenzio.
Si lasciò sfuggire un sorriso nostalgico, subito scacciato dalla noia che il sentimentalismo della Verdelli gli ispirava. Sentirsi chiamare Vitti, amore, cucciolo! E ricevere tutti quei regali di cui regolarmente si sbarazzava nel cassonetto della spazzatura. Una volta incaricò la stessa Verdelli di buttare il fermacravatte d'argento sostenendo di essere allergico all'argento e la minacciò di piantarla all'istante quando gli propose di cambiare il fermacravatte con qualcos'altro, magari in oro.
Mentre ormai stava per riprendere posto sulla sedia, un urlo arrestò il suo passo. Non proveniva dalla camera 36 né dalla 38. L'urlo, ora più tenue ma in un baleno sopraffatto da un vociare giovanile, di quelli che riconosce al primo colpo, lo mise in allarme. Come mai in due anni e mezzo che passava almeno quattro ore al giorno - e mai le stesse - nel suo studio non si era finora levato alcun suono dalla parete del bagno?
Le voci si placarono in un bisbiglio vagamente cospiratorio inframmezzato da risatine. Le stesse risatine fuori tono dei suoi studenti. La tensione venne acuita da una profonda irritazione. Le prime parole che riuscì a distinguere riguardavano uno scherzo telefonico. Solo dopo un quarto d'ora, con la sedia adagiata accanto alla nuova parete rumorosa, fu in grado di cogliere i nomi di Bianca e Alfredo. E solo il mattino successivo a scuola controllando i registri delle sue classi identificò Bianca Colorni come la studentessa della prima fila della Quinta B e Alfredo Colorni come il ragazzino impertinente della Quarta C, l'unico studente negli ultimi dodici anni di insegnamento a cui aveva concesso un 8-, il quale osò lamentarsi proprio di quel meno. "Senza il meno c'è solo la perfezione" ne aveva tacitato la protesta suscitando un brusio di disapprovazione di tutta la classe.
Dopo quella scoperta le notti nello studio si sono aperte a un duplice spettacolo. All'amato traffico delle prostitute si sono aggiunti gli scherzi telefonici dei fratelli Colorni. La loro casualità abbinata alla sistematicità ha colpito subito Scomazzon. Se la selezione del malcapitato viene affidata alla semplice apertura della pagina degli annunci personali del "Corriere" e all'indice cieco di Alfredo che dopo un girotondo in aria va a puntarsi su un nome ignoto, lo svolgimento dello scherzo è pianificato secondo una strategia ormai consolidata, divisa in due fasi.
La prima, quella che meglio conosce Scomazzon, si svolge al telefono. Tocca a Bianca adescare la vittima. Con una serie di chiamate fa la conoscenza del malcapitato, ne scopre le debolezze e intanto lo circuisce lentamente in una spirale di allusioni sessuali sempre più sfacciate fino a portarlo allo stremo del desiderio di incontrarlo. La maggior parte delle volte è lui a chiedere l'appuntamento. Allora Bianca recalcitra, vuole una "prova d'amore". A questo punto è una passeggiata convincere l'uomo a presentarsi in smoking in un grande magazzino o in costume da bagno in una chiesa, come è accaduto la Pasqua di due anni fa. Purtroppo la ressa dei fedeli ha impedito di ottenere delle fotografie nitide.
Qui comincia la seconda parte dello scherzo. La preparazione della scena compete a Alfredo. È lui a effettuare il sopralluogo sul posto dell'appuntamento. Munito di macchina fotografica cerca l'angolazione più adatta da dove immortalare la vittima, organizza i movimenti della sorella in modo da condurre l'uomo nel punto desiderato e infine studia la migliore via di fuga.
Negli ultimi due anni Bianca e Alfredo hanno portato a termine con successo diciotto scherzi, ognuno dei quali ha richiesto una preparazione e una esecuzione complessive di almeno un mese. Hanno fallito solo due volte. Una per colpa del divorzio dei loro genitori e della conseguente fragilità della madre che ha voluto la figlia a dormire con sé. Un'altra perché la scarlattina li ha costretti a letto per due settimane.
Il professor Scomazzon li segue da sei mesi, da quando hanno traslocato nel nuovo appartamento. È affascinato dalla perversione che scorge in questa coazione al raggiro. Vi riconosce un'inclinazione all'abiezione non dissimile dal suo incontrollabile bisogno di origliare le sordidezze nelle vite altrui. Nei suoi deliri notturni più di una volta ha accarezzato il progetto di introdursi con una scusa nella casa dei suoi alunni per impossessarsi dell'album di fotografie e guardare nei volti delle vittime degli scherzi lo sguardo dell'umiliazione.
Il professor Scomazzon si attarda ancora qualche minuto prima che gli ultimi rumori dell'appartamento vicino si dissipino del tutto. Lasciato passare lo sciacquone del bagno accompagna il lento ciabattare della prostituta, così pudico nella sua familiarità, che prima di mettersi sotto le coperte dà un terzo e un quarto giro alla serratura. Nel frattempo ha raccolto i fogli protocollo incolonnati sulla scrivania dei compiti in classe che ha finito di correggere ieri notte.
Quando esce dal suo studio l'impermeabile è di nuovo abbottonato fino al collo e nella mano sinistra stringe la solita borsa di cuoio.
Il silenzio del corridoio è percorso dal miagolio di un gatto. Che cessa quando si aprono le porte dell'ascensore. Scomazzon è investito da un odore rappreso di sporcizia. Istintivamente si porta il dorso della mano alla bocca e tossicchia. Il tubo del neon lampeggia con insistenza. Invece di stabilizzarsi come sempre, si spegne del tutto pochi attimi prima che le porte si riaprano al piano terra. È buio dentro e fuori l'ascensore.
Impreca a bassa voce. Dà un pugno secco contro il vellutino della parete. Il neon si riaccende emettendo un sibilo. Il sibilo si prolunga nella sua irritabilità che esige una risposta.
Appoggia la borsa per terra e vi sale sopra. Con entrambe le mani sonda in alto il vano del plafond dove scorre il tubo circolare di neon. Sbuffa mentre meticolosamente tasta lungo tutto il vano. Sta cercando da dove parte la corrente elettrica. Alla fine del giro la mano incontra la consistenza metallica di un secondo tubo, a fianco di quello del neon, che con un po' di fatica e dopo un ulteriore assestamento delle gambe per mantenere l'equilibrio sopra la borsa riesce a impugnare. Si alza sulle punte dei piedi per estrarlo completamente dal vano, rischia di perdere del tutto l'equilibrio mentre salta giù a terra stringendo un punteruolo di metallo lungo quanto il suo avambraccio che termina con una punta acuminata.
È ancora mattina presto, le sei e ventuno, quando rincasa, lascia la borsa con il punteruolo avvolto in un fazzoletto sotto i compiti in classe e senza slacciarsi il bottone più alto dell'impermeabile gira la chiave della porta della camera da letto, la rimette nella serratura interna e urla con tutta la forza che ha in corpo: "Scendi giù dal letto pigra che non sei altro!".

  1. s.a. (non verificato) on Ven, 02/22/2008 - 18:35

    un pò Paolo Conte nella scelta dei colori degli abiti e un po'Campanile nella scelta dei nomi dei protagonisti?
    O no?
    S.A.

  2. trasciatti on Ven, 02/22/2008 - 19:24

    Non ci avevo pensato, ma in effetti  ci sta. Lo Scomazzon dalle scarpe marron. Pensavo fosse un refuso, che ci mancasse una i. Invece è proprio così e mi pare buffo.

    a.t.

  3. Sebastiano Mondadori (non verificato) on Gio, 02/28/2008 - 15:47

    la scelta è del tutto casuale, mi fa piacere però l'accostamento a conte e campanile perché amo molto il loro spirito
    s.m.

  4. stefano (non verificato) on Ven, 02/29/2008 - 17:34

    anche a me piacciono molto...malgrado non li ascolti o legga da tanto tempo.
    Mi avevano colpito queste analogie.
    Ciao,
    Stefano