L'anello verde

Ven, 02/08/2008 - 15:41 | Aggiungi un commento

L'anello verde




Il cuore verde di Lucca
Un cuore verde in una corazza di mattoni. Questa è Lucca, che ancora oggi conserva molti ritagli di frescura tra le possenti mura rinascimentali. Un tempo orti e giardini erano di più, naturalmente. L'urbanizzazione ha fatto le sue vittime. Più di trecentocinquanta se ne contavano ancora nell'800. Si nascondevano tra i palazzi e le case ed erano una riserva preziosa nei periodi di magra, fosse questa dovuta all'avarizia della natura o ai disastri guerreschi dell'uomo. Pure gli animali (letteralmente da cortile) erano comuni in città. Ancora negli anni '50 del '900 c'era chi allevava sotto casa una capra, un maiale, una mucca e chi beveva vino fatto con l'uva dei propri vignetucci urbani.
Lucca è una città paradossale. Riservata e ombrosa nella sua faccia pubblica, quella costituita dall'intrico labirintico delle vie medievali, dei palazzi addossati l'uno all'altro che riducono il cielo ad una striscia sottile. Espansiva e solare nel suo lato privato, quello che pochi possono vedere, fatto di corti e corticelle, chiostri, recinti e spazi scoperti che, dal retro, danno luce alle abitazioni. Per averne un'idea basta salire sulle mura: dall'alto si vedranno spuntare alberi e foglie ovunque e verrà voglia di scendere per cercare di capire dietro quale muro si celino quelle piante, quale portone ne vieti l'accesso o se un cancello in ferro battuto permetta almeno di spiare dentro. Nel medioevo tutto era orto e tutto era giardino. Certo, il verziere era la porzione di spazio dedicata alle piante officinali, il pomario quella degli alberi da frutto e il viridario accoglieva i sempreverdi, ma l'utile e il dilettevole avevano la stessa dignità, convivevano fianco a fianco. Solo più tardi l'aspetto scenografico avrà il sopravvento e l'antico "giardino di delizie" diverrà uno spazio magnifico dove portare a passeggiare gli ospiti illustri. Le stesse mura possono essere godute - anzi, vanno godute - come un luogo di passeggio, un parco pubblico pensile che corre tutt'intorno all'abitato e offre i suoi viali alle chiacchiere, alle corse e ai riposi sulle panchine. L'anello delle mura riunisce in sé artificio e natura, il rosso spento dei mattoni e il verde intenso dei platani, la potenza dei contrafforti e la levità delle chiome ondeggianti. Questi alberi furono piantati a rafforzamento e decoro delle cortine, così ben presto l'opera difensiva si trasformò in un insolito "locus amoenus". Scriveva Montaigne, di passaggio a Lucca nel 1580: è ben difesa e bastionata...dal di fuori non si vedono che chiome d'alberi che nascondono le case.  Nel '900 le mura sono state percorse senza posa dalle auto, ma ormai sono tornate ad essere il regno dei pedoni (e di qualche ciclista di troppo). Lucca sembra avere una vocazione per fare attecchire gli alberi in posti improbabili: in cima alla Torre Guinigi, a 44 metri da terra, hanno trovato rifugio quei lecci robusti e avventurosi che sono divenuti uno dei simboli della città.
Il cuore verde di Lucca ha lasciato tracce anche nella toponomastica: via degli Orti, ad esempio, in una parte di città rimasta a lungo campagna e occupata da conventi e ville, come Villa Guinigi, oggi Museo Nazionale. Anche qui rosso mattone e verde erba, l'eleganza gotica di una dimora superba e il sommesso scrosciare delle fontanelle nel prato. E' qualcosa che rimanda ad un idillio boccaccesco, a un tempo e a un luogo d'elezione, di squisite cortesie e piaceri terreni. E luogo di piaceri era pure Villa Buonvisi al Giardino (più conosciuta come Villa Bottini), che si trova a due passi. Qui siamo già in pieno rinascimento e il giardino è divenuto luogo splendido di rappresentanza, coi suoi vialetti in croce, la grande fontana centrale, gli alberi solenni e, quasi nascosto in fondo, il pietroso ninfeo del Buontalenti. Fu teatro dei torbidi amori di Lucrezia Malpigli, nobildonna lucchese che fece assassinare il marito (un Buonvisi) dall'amante, e il cui spettro inquieto - come succede in questi casi - si aggira ancora in quei luoghi. C'è voluto tempo prima che il senso civico si risvegliasse e sottraesse la villa e il suo giardino all'incuria e al degrado. Negli anni della contestazione si scorrazzava per i saloni, ci si accampava sotto le volte affrescate dal Salimbeni, si abitava la villa, insomma, ma senza riguardi e i prati erano invasi dalle erbacce, i viali dalle auto. Poi sono venuti i restauri e la villa è divenuta sede dei servizi culturali del comune. Il muro che corre tutt'intorno è ritmato da grandi finestre con grate, finestre "alla lucchese" che fanno dialogare due spazi aperti: quello della strada e quello del giardino. Si poteva forse scorgere il convento (poi demolito) di S. Chiara,  dove Lucrezia riuscì a rifugiarsi per sfuggire alla giustizia, ma dove, però, non riuscì a trovare la quiete. La bella monaca, infatti, si dette comunque ai piaceri del mondo e alla fine fu murata per nove anni nella sua cella. Un'idea di quel convento si può avere entrando nella vicina Casa Pia per anziani, col suo tipico e semplice chiostro, allietato dalle aiuole d'erba. E un altro bel chiostro visitabile si trova poco distante, nel convento di S. Micheletto, sede della Fondazione Raggianti, dove si studia l'arte contemporanea e si allestiscono mostre. Il biancore del luogo, con le sue pareti intonacate, è sempre una sorpresa di luce e di silenzio, uno spazio chiuso e sospeso, reso ancor più straniante dalle forme algide e geometriche delle moderne sculture disseminate all'aperto e sotto gli archi.
Così, di chiostro in chiostro, eccoci all'Orto Botanico, vera oasi di umido e di verde declinato in tante sfumature, in tante forme di steli e di foglie. Più di cinquecento sono le specie esotiche presenti, tra cui un cedro del Libano piantato nel 1820 e una sequoia del 1890. Furono le ragioni della scienza a far nascere questo microcosmo rigoglioso, giacché nel 1819 si volle dotare il Real Collegio (l'antica università di Lucca) di un luogo dove si potessero studiare dal vivo i vegetali più vari, concentrati a formare un riassunto del Creato, uno spicco domestico di mondo da affiancare alla cattedra di botanica. C'è una collinetta e un sentiero dal quale salgono e scendono i bambini e uno stagno con ninfee. Proprio questo, che è il cuore dell'Orto, il suo angolo più ameno, nasconde una torbida leggenda ben conosciuta dai lucchesi. Anche in questo caso una donna e una storia di passioni: quelle di Lucida Mansi, fascinosa patrizia cittadina che faceva scomparire i suoi amanti in botole segrete. Barattò col diavolo la sua anima in cambio di trent'anni ancora di bellezza e di piacere. Quando venne la sua ora, il suo cadavere divenne inguardabile e mostrò a tutti la sua vera età. Venne sepolta nella Piaggia Romana, terra sconsacrata destinata agli eretici, proprio dove ora c'è il laghetto e dove - come è logico - ancora appare. Gli specchi d'acqua scura e fonda, con la loro sepolcrale  immobilità, ispirano da sempre racconti folclorici inquietanti. Anche Dino Battaglia, grande disegnatore e maestro dei fumetti "in costume", si cimentò con le vicende di Lucida.
I giardini sono uno scenario classico per i convegni amorosi. Pure Palazzo Pfanner possiede un giardino toccato, o perlomeno sfiorato, da un'altra storia sentimentale e scandalosa, quella del re di Danimarca Federico IV e della giovane Maria Maddalena, rampolla della famiglia Trenta. Non si sa se i due passeggiarono nel giardino del palazzo, ma è un fatto che Federico - quando ancora era principe ereditario - soggiornò in quella dimora e s'invaghì della bella lucchese. Ma niente potè l'amore sui divieti religiosi, giacché lui era protestante e lei cattolica. Poi Maria Maddalena entrò in un convento di clausura a Firenze. Federico, diciassette anni dopo, volle di nuovo vederla. Le sue insistenze furono tali che il vescovo gli concesse di incontrare la sua antica fiamma. Non si sa cosa si dissero, ma quel giorno nelle chiese e nei conventi di tutta Firenze si pregò perché tra i due non accadesse niente di disonorevole. Quando il sovrano ripartì, fu un sollievo per tutti. Si può allora visitare il giardino di Palazzo Pfanner col pensiero al principe Federico e alla sua amata. All'epoca il palazzo era appena terminato e brillava certo di una bellezza diversa, luminosa e nuova, meno carica di storia e di memorie agrodolci come quelle suscitate oggi dalle statue dilavate del giardino: Vulcano, Mercurio, Dioniso, Oceano. E poi i tassi, i pini e le magnolie, le siepi di bosso e alloro, gli alberi da frutto, la vasca ottagonale...tutto parrebbe ideale per le effusioni di due amanti, in un'atmosfera un poco languida e decadente, come quella delle Feste Galanti di Verlaine.
Fu per irrigare giardini come questo e, soprattutto, per fornire Lucca di acqua potabile che dal 1822 al 1834, l'architetto Lorenzo Nottolini lavorò a quell'opera monumentale che è l'acquedotto: 459 archi che attraversano la piana di Lucca per 4200 metri, dalle colline di Guamo fino alla città, dove giunge così l'acqua di 18 sorgenti. Ma se l'acquedotto è un segno ben visibile tracciato sul territorio, le sorgenti di Guamo restano nascoste. E sono un vero capolavoro di arte e di idraulica. Si ha l'impressione di essere di fronte a un mausoleo dell'antichità, fresco e ombroso, con tempietti, casupole e cipressi, ma tutto è funzionale alla captazione delle acque di sorgente, ad uso potabile, e a quelle di superficie, ad uso ornamentale. I letti del Rio della Valle e del Rio S. Quirico furono lastricati e regimati, e si costruì una "serra vespaiata" per filtrare e canalizzare le loro acque. E' un luogo d'incanto e di raccoglimento, di quiete pagana e di equilibrio - davvero qui perfetto - tra natura e cultura. C'è un'iscrizione in latino sopra un ponticello, con le lettere auree un po' scrostate. Ma sono state loro a dare il nome al luogo: le Parole d'Oro, appunto. Anche perché è un luogo di sussurri amorosi, o perlomeno lo è stato per molti.
(Alessandro Trasciatti, GenteViaggi, ottobre 2007, pp. 148-159, foto di Massimo Borchi/Atlantide. Il testo qui riportato differisce leggermente da quello pubblicato)
 

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