L'importanza delle pulizie...e diciotto

Ven, 05/30/2008 - 13:52

L'importanza delle pulizie...e diciotto

18. Anche la Bovera è una donna

"È solo una questione di tempo la differenza tra una seduta psicanalitica e un interrogatorio" amava ripetere il procuratore Bellorin ai tempi di Pavia.
"Nella seduta la confessione è il punto d'arrivo di una lunga opera maieutica, mentre nel nostro lavoro la confessione costituisce il punto di partenza per far luce sulla verità."
Pur non condividendo fino in fondo l'assunto, la Bovera riconosceva a Bellorin una notevole prestanza fisica e una ragguardevole intelligenza. Le stesse doti che riconosce a Corridoni, rammaricata dall'eccessiva avvedutezza con cui fa uso di entrambe, quantomeno con lei.
La professoressa Giannalisa Verdelli ha chiesto un bicchier d'acqua. Le quasi due ore di domande e risposte le hanno seccato la gola. Per chi la conosce bene, l'indizio più vistoso della sua spossatezza sono i ricci rossastri della capigliatura appiattita in una sciallata unticcia tra lo spinoso e il cencioso.
"Grazie, ne avevo proprio bisogno."
"Se vuole possiamo fare una pausa." Fin troppo cortese, il commissario tradisce un'occhiata di ammirazione ai ciuffi di peluria che torniscono il polso saldo del procuratore, il quale accoglie con un sorriso la sua proposta: un uomo di polso in tutti i sensi, davvero.
"Rondo, tu resta qui con la signora."
Vedendo l'angolo del caffè affollato di agenti impegnatissimi a disquisire sull'astinenza ai gol di Bobo Vieri, la Bovera guida il procuratore verso l'ufficio di Rovini in fondo al corridoio. "Così possiamo parlare un momento."
L'ufficio è vuoto, Corridoni si siede sotto la gigantografia di un panorama tropicale e senza aspettare che la Bovera prenda posto sulla sedia girevole di fronte a lui comincia a parlare.
"Allora, mi vuole dire cosa c'è che non va? Forse è risentita per il fatto che non l'ho avvisata per prima dell'incriminazione della Verdelli? Insomma, come glielo devo dire, questo è un caso che deve essere risolto. In un modo o nell'altro."
La Bovera straluna lo sguardo in attesa di ulteriori particolari.
"Ha capito benissimo cosa intendo. A parte il fatto che il delitto è avvenuto in una scuola e ci sono di mezzo centinaia di minorenni con genitori agguerritissimi pronti a scatenarci addosso televisioni e giornali. Sono là fuori che non aspettano altro di sbranarci. E questo non mi sembra un problema di poco conto, dico bene? Ma soprattutto c'è di mezzo un uomo politico, il padre di un alunno di cui è superfluo fare il nome, che pretende la risoluzione del caso entro la settimana prossima al massimo."
"Come sarebbe? Ci ha scambiato forse per una sartoria in cui si ordinano gli orli ai pantaloni?"
"Che sartoria e sartoria!" Corridoni affonda la mano nel suo morbidissimo ciuffo di capelli. Sospira spazientito.
La Bovera approfitta di questa interruzione: "Secondo me la Verdelli non è la colpevole. Sicuramente nasconde qualcosa, non ho dubbi. Ma non c'entra niente con il delitto. Comunque la prossima volta, prima di incriminare di omicidio una persona conviene assicurarsi che sia in condizioni fisiche di commetterlo, questo omicidio. Rovini ha già scoperto - e devo dire che non era così difficile da arrivarci, basta vederla camminare - che la Verdelli ha seri problemi motori. C'è un dossier lungo come..." non le viene l'esempio. "Al Fatebenefratelli c'è un intero dossier sulla sua labirintite per cui è stata ricoverata più volte perché perde di colpo l'equilibrio."
Corridoni sospira di  nuovo: adesso è preoccupato. Ma è o no un uomo di polso? La soluzione alternativa è già pronta: "Vorrà dire che seguiremo il piano b".
"Scusi, a cosa si riferisce con il...?"
"Mi lasci parlare" l'ha interrotta alzandosi di scatto in piedi. Cammina avanti e indietro per la stanza tappezzata di assolatissimi scenari esotici mentre rivela i punti salienti del piano b. "Prima di tutto un colpevole l'abbiamo già. Si tranquillizzi, lei il suo lavoro lo sta facendo egregiamente. Il punto è che non può conoscere l'assassino perché si trova già in prigione. Il suo nome è Aziz Boulami, un saldatore algerino di ventinove anni. È dentro per una rapina, roba da poco. Sta finendo di scontare una condanna di sei mesi. Sarebbe uscito ai primi di agosto. Ma andiamo avanti.
"Quando la stampa e la televisione scopriranno che la vittima, Renato Rabolini meglio noto negli ambienti sovversivi come Macchia Rossa, era in realtà una cellula impazzita delle nuove Brigate Rosse e si era introdotto nella scuola per commettere un attentato, Aziz diventerà il suo compagno incaricato di pedinarlo a causa del suo comportamento sospetto. Aziz Boulami è stato costretto a ucciderlo dopo aver scoperto la sua intenzione di fare esplodere a scuola la bomba che gli hanno trovato addosso sul luogo del delitto. La bomba in questione verrà recapitata agli artificieri da lei stessa non appena entrerà in funzione il piano b, vale a dire quando usciremo da questa stanza.
"Naturalmente tutte queste informazioni sono state riservate fino alla brillante e tempestiva conclusione delle indagini portate a termine dal commissario Bovera che incrementa la sua percentuale di casi risolti al settantacinque per cento. In quanto al frac, si è trattato di un abile tentativo di depistaggio da parte del terrorista "buono" Aziz."
"Scusi, giusto per sapere, e il buon Aziz?"
"È d'accordo con noi. In cambio di una confessione verseremo per un anno alla sua famiglia un mensile di duemila e duecento euro. Per una donna con quattro figli piccoli è già qualcosa, no? In più, se ci fornirà anche i nomi dei suoi complici non è detto che fra qualche anno non si parli di un'evasione."
"E alla fine del primo anno, come faranno senza mensile? Sbaglio o ha parlato anche di complici?"
"Vedo che non ha afferrato ancora il punto. Questo omicidio cade al momento giusto. Grazie all'assassinio del pericolosissimo Macchia Rossa vengono confermati i sospetti sul ritorno in azione delle Brigate Rosse. L'opinione pubblica non avrà più niente in contrario a iniziative decise per combattere l'eversione..."
La Bovera non presta più attenzione all'enumerazione degli incalcolabili vantaggi arrecati alla sicurezza del paese dalla risoluzione del caso. Prova un senso di ribrezzo per Corridoni. L'avvedutezza dell'intelligenza dovrebbe utilizzarla in altre occasioni, per esempio: non riesce a immaginare altri esempi al di fuori di una maggiore attenzione per lei.
"E se l'assassino colpisce una seconda volta?"
"Come? Lei crede..."
"La prego, mi dia quarantotto ore per cercare di risolvere il caso a modo mio. Dopodiché se l'assassino non viene fuori, scatterà questo piano b."
Corridoni le gira di proposito le spalle. Forse sta sognando di trovarsi nella spiaggia bianca della fotografia che fissa serissimo. "Al massimo entro domattina le indagini saranno chiuse. Ho già convocato una conferenza stampa per le undici e mezzo. La consideri già una concessione. Si ricordi però che fino a domattina ogni eventuale errore ricadrà solo ed esclusivamente su di lei."
Appena la vede rientrare da sola la Verdelli sorride rinfrancata.
Imperterrita, la Bovera ricostruisce per l'ennesima volta il resoconto della Verdelli. Comincia da sabato mattina in sala professori. I soliti discorsi che si fanno la mattina prima di lezione. Soprattutto lamentele, magari qualche pettegolezzo mentre si cerca di dimenticare la qualità scadente del caffè. "Sapesse il nostro" alleggerisce i toni il commissario prima di citare i professori che si trovavano nella sala e domandare con chi si è intrattenuta la professoressa, se ha scambiato qualche parola in particolare con qualcuno, che cosa precisamente ha detto, quindi aggiunge un nuovo particolare finora omesso: "Ieri Civitati mi ha riferito che passando per il corridoio l'ha vista di sfuggita parlare con il professor Scomazzon".
Se possibile, i capelli della professoressa si afflosciano ancora di più: alcune ciocche le ricadono sugli occhi lacrimevoli, stanchi di un pianto annoso benché adesso si limitino a luccicare sull'orlo dell'arrendevolezza: "Sì, mi sono intrattenuta con il professor Scomazzon".
"Vede, un piccolo passo avanti" la Bovera distoglie lo sguardo dalla mano agitata di Rondo.
"Parlate spesso insieme, lei e il professor Scomazzon? Come fa di nome, che non ricordo?"
"Vittorio. A lui non piaceva però."
"Non gli piaceva. Questo vuol dire che adesso gli piace, il suo nome proprio?"
"No, cioè non lo so. È che da un po' Vittorio, il professor Scomazzon voglio dire, e io non abbiamo avuto modo di parlare."
"Capisco."
Nascosto allo sguardo della Verdelli, Rondo trascrive il verbale al computer sulla scrivania più piccola su cui di solito lavora il commissario. Lui usa la scrivania grande dove fino a poco tempo fa sedeva il procuratore. La Bovera gliel'ha ceduta appena erano entrati nell'ufficio, lei preferisce circoscrivere il suo disordine in uno spazio che non ecceda la portata delle sue mani.
Rondo smette di scrivere dopo che la Bovera gli strizza l'occhiolino. Dopo essersi schermato gli occhi con i Ray-Ban di Tom Cruise, si alza di scatto dalla sedia e comincia a sbraitare contro la Verdelli: "Insomma, poche storie! Qui e adesso devi spiegarci in qualche modo cos'hai fatto sabato mattina. Sei appena stata incriminata di assassinio. Per il tuo bene devi spiegarci per che cazzo di ragione hai organizzato la proiezione in aula di scienze oltre l'orario scolastico, all'ultimo momento e per di più senza autorizzazione del preside, al contrario di quanto hai dichiarato ai colleghi quando te l'hanno chiesto. E non è finita. Tu non hai uno straccio di alibi da quando hai lasciato l'infermeria alle dodici e dieci fino all'una meno cinque quando ti sei ripresentata in aula di scienze. Tu ci devi dire qui e adesso dove cazzo sei stata in quei quaranta minuti. Senza considerare poi il tuo comportamento quantomeno inspiegabile nei confronti dei fratelli Colorni in infermeria".
La Verdelli comincia in silenzio a piangere, i singhiozzi arrivano quando Rondo sbatte la porta dell'ufficio da cui è uscito gridando che così si sta mettendo in un guaio grosso che nemmeno s'immagina.
Il pianto della Verdelli sembra attirare ulteriormente verso la sua faccia i ricci smorti in una resa pendula che le impedisce di vedere.
"Si calmi, Giannalisa. Ora siamo sole."
La Verdelli alza lo sguardo. Vedendola avvicinarsi, improvvisa un sorriso di riconoscenza sul volto impreparato a tante sorprese. Il sorriso è pietrificato dalla paura quando il gomito della Bovera la colpisce con un movimento secco sotto le costole.
Il respiro agonizzante in ansimi convulsi si abbatte come un terrore inatteso. La testa sbilanciata in avanti pende verso il pavimento su cui potrebbe capitolare da un momento all'altro.
Il commissario la aiuta a trovare la posizione migliore sulla sedia spingendole il corpo contro lo schienale. Calmissima,  è quasi premurosa nell'accertarsi delle sue condizioni: "Tutto bene?".
Entrambe ascoltano gli ansimi rallentare in sospiri ancora affannati.
"Sono anch'io una donna, sa" riesce a sussurrare la Bovera senza uomini in circolazione. Questa ammissione spiana un leggero barlume sulle labbra della Verdelli: benché sia difficile trovare una donna altrettanto repellente come la Bovera, la certezza di uscire vincente dal confronto la consola.
"È arrivato il momento di parlare. Ne hai bisogno, Giannalisa."
"Non è così facile da raccontare. Lei mi fraintenderebbe, proprio perché è una donna. E una donna certe cose le capisce quando le fa in prima persona, non quando le ascolta da altre. Potrebbe avere l'impressione di una costrizione, diciamo pure una violenza che non c'è stata. Mi deve credere. Lui semplicemente riusciva a farmi fare quello che voleva. Sto parlando di Vittorio. Posso avere un altro bicchier d'acqua? Grazie": lo beve notando l'apprensione del commissario, più apprensiva della psicologa da cui è in cura da due anni.
 "In fondo quello che mi chiedeva non era così... abominevole come credevo. A volte i pregiudizi ci impediscono di essere felici."
Spaventata più per se stessa, risucchiata nella premonizione delle ossessioni di Ermete Traversoni in camera da letto - cosa ci si può mai aspettare da un venditore di scarpe usate? -, la Bovera si sente in dovere di interromperla: "Non sei costretta a raccontarmelo, non adesso. Quello che invece sarebbe importante proprio adesso è il legame tra questa tua relazione con Scomazzon e i fatti di sabato, sempre che ci sia un legame."
"C'è eccome, commissario" si sfoga la Verdelli, minuziosa nel soffermarsi sui particolari che l'avevano indotta a illudersi di una conciliazione, un vero e proprio ritorno di fiamma anzi: quell'insistenza nel sottolineare il ripetersi delle circostanze della loro prima passione - il suo modo di riferirsi all'atto sessuale. E soprattutto il  bacio in ascensore.
"Vede, signor commissario, Vittorio - cioè il professor Scomazzon - mi aveva lasciato intendere che fosse tutto come la prima volta che... Scusi, me lo darebbe un altro bicchier d'acqua, per favore? È che la gola...".
Non lo ha bevuto: "Così quando mi si è presentata l'occasione di liberarmi dei Colorni io mi sono precipitata nel bagno delle donne del terzo piano dove tre anni fa... la passione... Sono stata lì  dalle dodici e venti all'una meno cinque circa. Ma Vittorio non è arrivato. Quando sono tornata in aula lui era beato che se ne stava in piedi a guardare il documentario insieme a quella serpe di Vanzegoni e a Oreste, il bidello. Mi ha guardato con noncuranza come se non fosse successo niente".
"Allora Scomazzon si trovava sull'ingresso, vero?"
"Sì, appena entrati c'è come un piccolo ingresso prima delle gradinate, l'avrà visto anche lei." Si libera il naso da un riccio rosso.
"Io le dico queste cose anche se non sono sicura che sia la cosa giusta." La reticenza della Verdelli si aggrappa alla presunta fedeltà che ritiene di dovere all'ex amante. Al contrario fatica a perdonare la propria inettitudine nell'averlo perduto solo per  mancanza di coraggio. "Se non fosse stato per quei miei pregiudizi oggi magari..."
"Mi scusi se mi permetto, professoressa. Io dico solo che se non eravate sullo stesso piano, se lei non era nelle condizioni di chiedere a lui un sacrificio pari a quello che Scomazzon chiedeva a lei - qualunque fosse, a me non interessa - allora lui la stava usando. La stava sfruttando, umiliando, bistrattando, maltrattando, molestando..." Per fortuna il professor Migliavacca dell'istituto magistrale di Pavia non ha preteso dai suoi studenti un lessico tanto esteso, altrimenti allungherebbe l'elenco fino all'esasperazione.
Sarebbe stato eccessivo, visto che al verbo umiliare ha già riattaccato a piangere e alla terza volta che ha pronunciato il verbo molestare la Verdelli è sbottata in un urlo liberatorio: "Tutta colpa di quel loschissimo appartamento in via Arbe, 31! È lì che ci incontravamo".
"Via Arbe è dalle parti di viale Zara" chiarisce Rondo senza staccare gli occhi dallo schermo del computer.
"Sei stato proprio  bravo prima. L'hai spaventata a morte, la povera Verdelli": la Bovera è raggiante. È riuscita a scagionare un'innocente e allo stesso tempo ha raccolto delle informazioni inaspettate sul professor Scomazzon. "A proposito, sono poi saltati fuori i suoi documenti?"
"No, non che io sappia. Ma lei crede che Scomazzon possa essere..."
In disparte Corridoni osserva l'idillio tra il commissario e il suo vice. Sbuffa, ma per poco: "Mi sembra che Scomazzon abbia un alibi inattaccabile". A differenza di Aziz. Poi si rabbuia: "Speriamo che la Verdelli in tivù venga male. Sono sicuro che la vedremo presto al Maurizio Costanzo a sparlarci addosso".
Dal momento che sono quasi le quattro e sono a stomaco vuoto da stamattina Rondo propone di mangiare qualcosa: "I genitori del commissario ci hanno mandato una caprese".
La Bovera arrossisce.
"Be', perché no? Me li deve presentare una volta o l'altra i suoi genitori, commissario. Qua dentro li conoscono tutti. Persino Grazioli mi diceva che sono simpaticissimi" si rianima inaspettatamente Corridoni.
Rondo ha cominciato a sgombrare la scrivania per ricavare uno spazio dove appoggiare i due vassoi di ceramica inglese con la caprese fatti recapitare in mattinata da un corriere insieme a un bigliettino con scritto "buon appetito" firmato da Gioia e Felice. Lei con la penna rossa, lui con la penna nera.
La porta dell'ufficio è aperta, così nessuno si accorge dell'arrivo alla chetichella di Rovini. "Qui si banchetta."
"Ah, Pasquale, sei tu."
"Signori, ho una grande notizia da darvi."
"Un'altra?" quasi allarmato Corridoni.
"Abbiamo rintracciato il cellulare che ha chiamato più volte qui in centrale. Aprite bene le orecchie perché non ci crederete mai. Corrisponde al numero di un telefonino intestato... Aprite meglio le orecchie... intestato a Bianca Colorni. Nientedimeno che la ragazzina dell'infermeria."
"Oddio, questa sì che una notizia" gli va incontro la Bovera.
Seppure titubante, Corridoni si unisce al coro: "Proprio una bella notizia".
"Una svolta?" arrischia Rondo che ha faticato non poco a liberare la caprese dagli strati di carta trasparente in cui era avvolta.
"Non ci resta che mangiare la caprese dei suoi gentilissimi genitori" si affretta a chiudere le manifestazioni di entusiasmo il procuratore.
La Bovera oggi proprio non lo può vedere, tanto bello quanto insopportabile: "Va bene, tanto io non la mangio".
Povero Rondo, cosa farà, combattuto tra la fame e la fedeltà al suo capo.