Adesso Flavia

Ven, 10/26/2007 - 02:57

Adesso Flavia


Adesso tienimi è il romanzo d'esordio di Flavia Piccinni, tarantina di nascita, lucchese di adozione, romana di residenza. Dov'è Flavia? Sicuramente in queste pagine che erano attese, visto che nel 2005 aveva vinto il Campiello Giovani, dimostrando talento, sicurezza di penna, cattiveria intelligente. Quel racconto si intitolava Non c'è tutto nei romanzi. Il romanzo però è arrivato e fin dall'inizio il lettore è avvertito che non sarà una passeggiata, anche se il titolo Adesso tienimi e la copertina dichiarano una storia d'amore: "Sono nata a Taranto. 500 milioni di debiti e 90,3 % della diossina che uccide l'Italia. Vivo in via Cagliari 32/A, in una villetta bianca con il cancello in ferro battuto arrugginito....Avevo un fidanzato, prima che si ammazzasse". Perché Adesso tienimi è un romanzo d'amore postumo, scritto a cose fatte, dopo il disastro. Lei una studentessa, lui uno più grande, un insegnante. Tutto è nascosto ovviamente, ma lui le ha promesso che si baceranno in pubblico subito dopo la fine della scuola, dopo gli esami di maturità, quando insomma lei dovrà abbandonare per forza quel luogo. Già. Peccato che lui si ammazza. In fondo è uno spergiuro, un bastardo. E' questa la storia  di Martina e Vianello, storia d'amore senza rose e fiori, o meglio, le rose ci sono, ma anche le spine e pure le cesoie per troncarli. E tutt'intorno è la città vigliacca e difforme, con l'ILVA sempre sullo sfondo, le manifestazioni operaie che si sciolgono in chiacchiericcio inconcludente, i coetanei di Martina smarriti e ridicoli, persi a fumare spinelli e bere birra, le famiglie scollate da loro, o troppo appiccicate, affettuose e inette. La protagonista corre da un capo all'altro del romanzo in scooter, a precipizio, fino al finale teatrale e inaspettato, vendetta contro l'amore estorto e rinnegato. E l'oggetto d'amore, Vianello, riappare di continuo in un contrappunto di memoria, così che la storia a due si ricompone per frammenti. C'è da dire, forse, che il flash back - che pure sarebbe funzionale alla narrazione - è quasi troppo reiterato, rallenta un po' il corso delle cose, quel fiume in piena che è la città brulicante, ferita e tuttavia vitale, che trascina Martina con la sua sofferenza nascosta, cocciutamente non rivelata a nessuno. E le pagine più belle, forse, sono quelle che raccontano i "Perdoni", le interminabili processioni tarantine della Settimana Santa, vero sfinimento del corpo e dei nervi, rito di dolore collettivo, promiscuità di sudore e santità, di piaghe antiche e recentissime. Il lato pubblico, sociale, estroverso, politico in senso lato, dello sguardo di Flavia mi sembra più coinvolgente della storia privata di Martina. E' comunque un bel  libro d'esordio, con un'impronta decisa. Anche nella lingua non proprio canonica, un italiano sobrio e asciutto, senza orpelli, però increspato da inflessioni meridionali nel lessico, nella costruzione, nel tono. 
Alessandro Trasciatti