L'importanza delle pulizie...e sedici

Ven, 05/16/2008 - 15:39

L'importanza delle pulizie...e sedici





16. Occhi che sentono
"Trovo che non sentire sia un sollievo per i miei occhi."
"Come? Non capisco cosa sta dicendo, signor Oreste." Loredana è ancora confusa dagli esiti degli esami, il medico l'ha pregata di accomodarsi di nuovo in sala d'aspetto perché fra mezz'ora vuole vederla per un ulteriore controllo. Le due ellissi opache degli occhiali da sole non le coprono interamente il livido steso fino a metà della guancia.
Oreste è arrivato da pochi minuti. Appena ha riconosciuto la signora Scomazzon - ma in cuor suo è ancora la professoressa di chimica Loredana Zampa - si è profuso in saluti espansivi offrendosi di lasciarle il suo posto. A nulla è valso fargli notare che lui è arrivato dopo e prendere il suo posto significava retrocedere nella fila.
"Dico che troppi sensi confondono la visione d'insieme. Invece se uno è più sviluppato dell'altro..." interrompe la spiegazione distratto dal grosso fiore stampato sulla camicia di tela di Loredana: "Cos'è, un asfodelo?"
"Oh, non so. Lei s'intende di piante?"
"No, perché?"
 La sala d'aspetto gremita non scoraggia il tono di voce di Oreste, che si giustifica notando l'imbarazzo della sua interlocutrice, svelta di sguardi in tutte le direzioni: "Dal momento che più o meno siamo tutti quasi sordi qui" ammicca. Poi si fa serio: "A dire il vero sarebbe stato meglio non vedere quello che non ho sentito".
"Scusi, ma proprio non capisco."
"Lo so, lo so" abbassa di colpo la voce accostando la bocca all'orecchio di Loredana. Da quanto tempo il marito non si avvicina così tanto a lei. "Il fatto è che nessuno sa che ci sento male, col mio lavoro non potrei... rischio di perdere il posto e chi mi prenderebbe."
Senza allontanarsi da Oreste, Loredana scambia la posizione: adesso è lei che gli avvicina la bocca sussurrante all'orecchio. "Da me si deve aspettare solo discrezione."
"Discrezione" ripete lui "ho proprio bisogno di discrezione."
Pur non essendo mai stata classista come il marito, Loredana condivide con lui una viva repulsione nei confronti di chi fa lavori di fatica. La sola differenza rispetto a Scomazzon sta nel modo in cui li chiama. Per lui sono inferiori e basta, mentre per lei si avvalgono del titolo consolatorio di meno fortunati. Tuttavia questa intimità di aliti ha acceso in lei una forma quasi irriconoscibile di attrazione che si manifesta in una curiosità, attitudine deprecabile, circoscritta da così tanti anni dentro uno schermo televisivo da sembrarle una piacevole trasgressione: "Ha forse qualcosa da dirmi?".
Oreste si guarda intorno. È preoccupato soprattutto da un vecchio con la bocca coperta dal giornale: dietro un paio di occhiali rettangolari gli occhi esaminano le espressioni dei pazienti in attesa di essere chiamati senza curarsi minimamente di leggere.
Loredana intuisce il disagio di Oreste. Un fremito la scuote tutta, pervasa da una spinta all'irrazionalità che non ha la forza di ostacolare. Così è lei a prendere l'iniziativa. "Su, su venga che andiamo a parlare con calma al bar, tanto qui ce n'è d'aspettare. Prima di me ci sono almeno tre persone. E il dottore comunque non mi vuole rivedere prima di una buona mezz'ora."
"Lei non vorrà fraintendere" blatera in pieno sconcerto Oreste. Ha appena ordinato un caffè, un tè e un cappuccino per sé. Interpretando il silenzio dell'ex professoressa Zampa come un assenso, ne ordina altrettanti per lei. "Guardi che non è obbligata a berli tutti e tre. Comunque offro io, ci tengo."
Loredana si vergogna. Cerca di assumere un contegno distaccato per fugare ogni legame con la frenesia di poco fa. In fondo non è accaduto nulla di sconveniente né ha dato l'impressione di mostrare il suo stravolgimento, si è limitata ad assecondare la richiesta di essere ascoltato da parte di Oreste, tutt'al più ad agevolarla. Considerata la differenza sociale tra di loro si è trattato di una forma di tatto. Eppure continua ad avvertire un'intesta tra lei e questo bidello che le sollucchera gli ormoni.
Ha già bevuto il caffè e il cappuccino, si sta zuccherando il tè quando riprende un concetto che gli sembra importante: "La storia dei sensi che le dicevo è un po' compromettente per me. Ma io devo parlare con qualcuno. Con la polizia non posso. Col fatto che ho i precedenti quelli mi vedono subito come un sospettato".
"Di me si può fidare, Oreste."
Immerge un dito nella tazza del tè, lo ritrae di scatto: "Io ero a pochi passi dall'aula di arte quando è successo...".
Controlla la sorpresa di Loredana prima di proseguire filato: "Naturalmente non ho sentito. Solo che nessuno lo sa a scuola che sono quasi sordo o rischio di perdere il posto, mi capisce. Dopo che è cominciato il documentario in aula di scienze io me ne sono sgattaiolato giù nel mio nascondiglio. È un piccolo stanzino. Ci si arriva da un corridoio che non usa più nessuno. Me ne sto lì quando non c'è niente da fare. A dirla proprio tutta mi tengo una bella bottiglia di vino, di quello buono eh, fumo le mie sigarette, mi leggo qualche giornaletto di quelli sui pettegolezzi, tanto per farmi su un paio di risate, capisce. Non è che fare il bidello sia una gran bella cosa".
"In questo non è stato molto fortunato, già."
Approfitta della pausa per trangugiare il tè. Tossisce due volte, si guarda di nuovo intorno prima di tendere i palmi delle mani in segno della grande rivelazione che sta per fare: "Niente. Io mi faccio le mie cose come al solito. Quando è l'una meno cinque - ne sono quasi sicuro perché il mio Swatch è puntualissimo e mi ero distratto su un articolo sulla Naomi e il Briatore che hanno litigato un'altra volta così rischiavo di tornar su in ritardo - esco dal mio nascondiglio, passo di corsa per il corridoio che sembra uguale a come quando sono arrivato, solo che l'ascensore era occupato, allora sono salito a scale. Al terzo piano incontro il professor Vanzegoni. Lo conosce, il professore?"
"Sì, certo. Ma pensa che lui...?"
"Noo! Appena può il professor Vanzegoni esce di nascosto dalla scuola per andare a far commercio di libri. Libri antichi, roba rara. Lui è un uomo sofisticato e io lo capisco. E infatti aveva una borsa piena di libri che non aveva quando l'avevo visto in aula di scienze. Se i bidelli non sapessero queste cose..."
Loredana è costretta a sorridere.
"Io neanche gliel'ho chiesto. Lui mi ha dato la borsa e ha detto che poi passava il suo solito amico a prenderla lunedì. Non è la prima volta che succede. Poi siamo saliti insieme. Solo che lui è entrato un po' prima, io un minuto dopo e nel frattempo avevo nascosto la borsa nell'armadietto delle scope. C'era suo marito vicino alla porta che ci ha visti entrare. Per fortuna che ci siamo incontrati, guardi. Così all'interrogatorio lui farà da alibi a me e io a lui. Ieri sera è venuto addirittura sotto casa mia per dirmelo di persona, pensi che gentile."
"Tutto qui? Sarebbero questi i suoi segreti che non può rivelare alla polizia?"
"Noo! Adesso viene il bello." Ma prima ha bisogno di un secondo caffè. Lo prende da una delle tre tazze davanti a Loredana.
"Dopo che ho messo in ordine l'aula di scienze sono tornato di nuovo nel mio nascondiglio. Un'ultima fumatina, capisce. Il sabato mi godo un po' la scuola vuota quando tutti se ne sono andati. Mi fa sentire... importante. Ma quando ho rifatto il corridoio mi sono accorto che c'era qualcosa di diverso. Non capivo cosa precisamente. Mi è venuto un sospetto, insomma. Quelle sensazioni improvvise. L'ha visto il film Il sesto senso? Non proprio la stessa cosa, comunque. Mi son messo a fare tutto il corridoio fino in fondo dove c'è l'aula di arte. Di solito ci entro sempre dalla porta principale, il corridoio lo uso solo per starmene un po' in pace."
Si è fermato di colpo. Ha bisogno di essere incoraggiato. Sfidando il decoro sociale, Loredana allunga la mano fino a coprire quella di Oreste, grassoccia e bagnata di tè. Con le dita preme leggermente sulle sue, quindi le ritrae per lasciare modo al bidello di riaversi. Ci vogliono un paio di minuti, nel corso dei quali Loredana beve di seguito il cappuccino e il tè.
"Sono stato io a trovare il morto. Non mi è venuto neanche da urlare perché vestito col frac sembrava uno scherzo di quelli che si vedono alla televisione. Invece era proprio stecchito. Non l'ho mica toccato però, se no con le impronte digitali ti incastrano. Le mie impronte digitali sono pure registrate in commissariato. Quella famosa volta, sa. Comunque ho subito pensato che col fatto che io ci lavoro in quel posto di mie impronte ce n'erano sicuramente. Allora ho avuto la pensata di pulire dove era passato l'assassino. Un assassino poco intelligente secondo me. C'erano impronte delle scarpe, poche ma c'erano. Mocassini sicuramente. E anche delle tracce nel corridoio, però bisognava guardare con attenzione. Insomma, per farla breve ho pulito tutta la zona dell'assassinio."
Loredana lo fissa benevolmente, impegnata a non far trapelare un'attenzione sconfinante in qualcosa di disdicevole.
"In più c'era la Torre Eiffel che aveva fatto una classe di terza qualche anno fa. Loro me l'avevano regalata sempre per via di quella famosa storia, volevano tirarmi su. Insomma è mia. È costruita tutta con tubi di alluminio. Trecentoventotto tubi. Forse se la ricorda anche lei. A quei tempi insegnava ancora. Ancora non capisco perché ha chiesto la pensione anticipata..."
Loredana annuisce con un sorriso meccanico.
"La torre era distrutta. Completamente andata. Trecentoventotto tubi sparsi per terra. Ci crede?" le mani imperversano in circoli di costernazione. "Ci ho impiegato tutta la notte a ricostruirla. La mattina verso le cinque l'ho trasportata davanti alla sala professori, dov'era prima che la portassi nell'aula di arte siccome bisognava fotografarla per un catalogo di tutti i lavori fatti negli ultimi dieci anni che poi non hanno mai finito" alza lo sguardo verso Loredana per spiare la sua reazione. È conciliante, forzatamente calma: Oreste non ha più paura di parlare.
"Poi ho dovuto ripulire tutto il mio nascondiglio. Io lo so come lavora la polizia, vede indizi ovunque e in un modo o nell'altro t'incastra anche se non c'entri. Ho finito verso le sette, lo Swatch l'ho controllato così tante volte che l'ora precisa me la sono scordata! Per uscire da scuola senza farmi vedere da un testimone non è stato così difficile. Dalla parte del giardino non c'è nessuno che ti può vedere. L'unica finestra è quella di una vecchia che la domenica è sempre in chiesa! Così sono andato a una cabina telefonica e ho fatto il mio dovere."
"Cioè?"
"Be', ho chiamato la polizia per dire che c'era stato un assassinio."