L'importanza delle pulizie...quindicesima puntata



15. Come in sala professori
"Come in sala professori" simula una convivialità non ricambiata Vanzegoni.
Seduto sulla stessa panca di legno, Oregna gli sta strisciando accanto. Si aiuta con le mani nel far scivolare di lato il sedere mentre i piedi guadagnano centimetri tra un saltello e l'altro, pronti a ritrarsi non appena si avvedono di un movimento troppo azzardato.
"Solo che qui siamo noi gli interrogati" prova a sorridere la Goglio.
"A chi tocca dopo Civitati?": dal suo cameratismo solitario Vanzegoni si diverte a osservare il panico di Oregna. Finge di non accorgersi della sua mano che gli sfiora il ginocchio. Si limita a tossicchiare prima di spostare impercettibilmente il ginocchio dal bisogno di contatto fisico del povero collega, mentre si delizia alla vista delle gambe scalpitanti della Marotta nella minigonna di jeans.
Scomazzon appare indifferente ai tentativi di battute che si susseguono sempre più distanziati, come se a prevalere sia ora un senso di spossatezza.
La preoccupazione è ingannata dall'illusione di un'attesa infinita. Se conoscesse la sua esistenza, la Verdelli citerebbe Godot invece di strabuzzare gli occhi ogni volta che controlla l'orologio incredula dinanzi all'immutabilità della situazione. Sul quadrante digitale legge a mezza voce undici e tredici.
"Solo?" Vanzegoni ammicca a Oregna.
"Come solo? È dalle sette e trentasei che il preside è dentro quella maledetta stanza."
"Guarda il lato positivo Verdelli, oggi niente scuola."
"Tanto tu anche se ci vai non cambia niente."
"Ah sì, eh?" Vanzegoni si è alzato in piedi. L'insinuazione della Verdelli ha liquefatto la sua ironia in un nervosismo scivoloso.
Deglutisce mentre parla: "Da che pulpito! Guarda che qui lo sappiamo tutti che la principale indiziata sei tu. Chi è che si è offerta subito di portare in infermeria i Colorni e poi alla prima occasione se n'è sbarazzata per avere libertà di manovra? Chi?".
"Cosa stai dicendo Vanze..." scatta su la Goglio proprio nel momento in cui Oregna lascia partire un urlo simile a un fischio.
Tutti si portano istintivamente le mani alle orecchie. Oregna è balzato in piedi trasportato dall'urlo che si dispiega in uno stridio sempre più acuto. Avanza barcollante e urla.
"Fatelo tacere!"
La Verdelli si avvinghia a Scomazzon che ne approfitta per rifilarle un calcio involontario negli stinchi. Vanzegoni si sottrae alla mischia alzando le braccia sempre più divertito. La Marotta finge indifferenza intestardendosi su un pelo sulla sommità del ginocchio sinistro. La Goglio si sfila gli occhiali prima di bussare alla porta dove si trova il commissario.
"Basta!"
L'urlo della Bovera ammutolisce all'istante Oregna, recalcitrante verso il muro contro il quale si arresta la sua ritirata. Tiene la bocca ancora aperta. Sulle labbra mute si disegna la parola scusate. Gli si avvicina Rondo che gli afferra un polso e senza dire una parola lo accompagna fuori dalla stanza.
La porta da dove è uscita la Bovera è ancora aperta. Una volta ripresi dall'attentato all'udito i professori riconoscono la voce del preside Civitati. Sembra provata nel balbettare i nomi dei bidelli della scuola. Una seconda voce, questa decisamente sicura di sé e molto molto possente, gli chiede di ripetere l'ultimo nome, quello di Oreste Tranquilli.
"Per adesso va bene così, signor Civitati. Si tenga comunque sempre a disposizione."
Gli sguardi fremebondi in sala d'attesa sono disorientati dall'appellativo di preside scomparso nella fermezza implacabile della voce possente.
La Bovera sta dando un nome alla voce: "Il dottor Corridoni chiede a tutti la massima collaborazione per lo svolgimento più rapido possibile delle indagini. Ci sono in gioco anche dei minorenni, ricordatevelo".
Nessuno ha fatto caso alla presenza tramortita del preside sulla soglia della porta finché non si schiarisce la gola cercando di recuperare un'autorevolezza ormai minata in maniera irreversibile dalle circostanze.
"È andata bene" li tranquillizza. Vorrebbe proseguire il discorso. Basta un cenno della Bovera perché zittito si afflosci sulla panca nel posto occupato fino a poco fa da Oregna.
"Può andarsene, se vuole."
"Grazie" ma non si muove dal suo posto.
"È lei la signora Verdelli?"
"No, io sono la professoressa Goglio. La professoressa Verdelli è quella lì."
"Bene, signora Verdelli. Mi segua."
"Da quando in qua uno perde il proprio titolo solo perché è interrogato. Con che diritto? E poi mica siamo incolpati di qualcosa. Fino a prova contraria tutti sono colpevoli, innocenti cioè": lo sfogo della Goglio arriva dopo che la chioma afflosciata della Verdelli è scomparsa dietro l'espressione stizzita della Bovera nell'ufficio del commissario.
Il preside ignora deliberatamente l'occhiata generale dei presenti. Sono famelici di notizie. Almeno sapere cosa è accaduto nel corso delle cinque ore di interrogatorio.
"Be', se stavolta mi lasci parlare te lo dico io cosa sta succedendo. È chiaro che l'unico di noi che abbia a che vedere con questa storia sia la Verdelli. Lei non ha alibi, anzi. Si è comportata in modo sospetto. Come un'assassina, direi. Aspetta, lasciami finire!" aiutandosi con un'energico cenno della mano Vanzegoni previene l'interruzione della Goglio che senza replicare fa in tempo a scoccare un'occhiata di disapprovazione all'indifferenza della Marotta. "E poi chi non è d'accordo con me nel dire che la Verdelli è strana, forse è proprio pazza. Solo una pazza potrebbe uccidere un metalmeccanico vestito in frac!"
Una risatina diffonde il panico nella sala. Sbucando alle loro spalle Rondo li guarda sogghignando, bussa alla porta, dice che è lui, entra e richiude la porta dietro di sé.
"Cerchiamo di mantenere la calma, per favore" la Goglio si ricompone per prima. "Io non dico che la Verdelli sia una persona, come dire, psicologicamente... impeccabile. Ha i suoi problemi, lo sappiamo tutti. E non è la sola - o il solo -, aggiungo, e non vado oltre. Ma di qui a saltare a conclusioni così drastiche. Per favore, come potete solo pensare una cosa del genere? E a proposito, tu Vanzegoni, quale sarebbe il tuo alibi oltre alla tua congenita viltà?"
Dopo essersi liberato di una fastidiosa crosticina sul naso, interviene in sua difesa Scomazzon: "Insomma Olivia, ci sono già un magistrato e un commissario a fare domande. Mi sembra davvero inopportuno seminare ulteriore zizzania. Si finisce con lo screditare i colleghi. E ingiustamente. Vanzegoni è da sempre un uomo di parola, la sua rettitudine è fuori discussione".
"Ma senti un po' questa! Se la Verdelli è una pazza Vanzegoni cosa dovrebbe essere allora? Perlomeno un imbroglione, un viscido impostore anzi! Cosa dico? Un... un..."
Non trova il tempo di perfezionare l'insulto con una seconda definizione più appropriata che Vanzegoni le è già addosso.
"Brutta bastarda!"
Volano parole grosse. La Goglio schiva una manata di Vanzegoni ma non riesce a evitare le ginocchia del preside, impassibile mentre la professoressa gli capitombola addosso in un abbraccio maldestro. Nel frattempo Scomazzon ha trascinato via Vanzegoni, insoddisfatto della sua azione: "La prossima volta...". La Marotta sta cercando l'accendino nella borsetta, lo trova ma non smette di sbuffare.
"La prossima volta cosa?" la voce possente ha una faccia: eccola davanti a loro. Larghissima, presidiata da un naso eccezionalmente grande sotto il quale un paio di baffi brizzolati contraddicono il nero corvino dei capelli ondulati, adesso si profonde in una specie di sorriso sornione.
"Quisquilie, sa" si difende Vanzegoni.
"Sì, quisquilie" gli fa eco la Goglio ancora alle prese con la massa flaccida del preside di cui avverte un'imprevista erezione all'altezza della costola sinistra.
"Tutta colpa dell'attesa": pur non citandolo, Vanzegoni ha letto Beckett.
"Ah sì?" li studia Corridoni. "Commissario, può venire un attimo?"
Spunta la Bovera tutta tronfia di sguardi: "Eccomi!".
"Forse è meglio che li dividiamo in due sale diverse. Cosa ne dice?"
"Ottima idea. Dico a Rondo di portare i signori uomini nell'ufficio di Floris."
Per la prima volta Scomazzon ha modo di osservare da vicino il commissario Bovera. Ne scruta la bruttezza sistematica che affligge i sui tratti di una perfezione diversa, così integra da ogni sintomo di armonia da renderla compiuta in una disarmonia aggraziata. Paradossalmente aggraziata. Tutte quelle linee diseguali da cui prende forma il volto in una somma di contrasti: Scomazzon non riesce a distogliere l'attenzione dalla cacofonia immaginativa che questa visione gli scatena nel cervello. È paralizzato dall'attrazione.
Impiega un po' di tempo la Bovera prima di intercettare nello sguardo estatico di Scomazzon un'incongruenza rispetto alla situazione. La sua fissità sembra indifferente all'imbarazzo di Rondo nel balbettare che l'ufficio di Floris è occupata dalla figlia di Floris la quale, siccome non ha dato l'esame di statistica neanche a questo appello, per castigo deve riordinare l'archivio del padre e quindi sembrerebbe proprio irrealizzabile lo spostamento dei testimoni maschi in un altro locale visto che i rimanenti sono tutti occupati.
Nessuno si stupisce della natura quantomeno bizzarra per non dire illecita del castigo comminato dal sergente Floris alla figlia - Rondo non si ricorda il nome, se Patrizia o Rebecca. Tantomeno Corridoni, già rientrato a interrogare la Verdelli.
Approfittando della confusione, Scomazzon esce dalla sala alla ricerca di una macchinetta del caffè. La mancanza della borsa di cuoio ne disorienta il passo, ormai naturalmente sbilanciato a destra. I piedi non si ritrovano nella morbidezza calorosa delle polacchine scamosciate. Le spalle e il busto si perdono nell'ampia giacca di tweed dove la mano cerca invano il terzo bottone con cui chiuderla.
Il distributore del caffè è sistemato in un'apertura del corridoio che funge da saletta di ristoro. C'è anche un divanetto in similpelle rossiccia con un tavolinetto in plexiglas ricolmo di cicche, bustine di zucchero, bicchierini di plastica e posaceneri vuoti. 
"Il professor Scomazzon?" la Bovera gli fa cenno di sedersi accanto a lei.
"Sì?" senza accogliere l'invito.
"Nella sala degli interrogatori c'è una seconda porta che dà sul corridoio" spiega la sua presenza inaspettata.
"Vuole un caffè, commissario?"
"No, grazie. Mi basta stare vicino alla macchinetta per tirarmi su. Delle volte la suggestione..."
Scomazzon seleziona il numero del caffè senza zucchero e preme il pulsante.
Fin da ragazzina la Bovera è spaventata dal silenzio, forse perché l'ha sempre associato alle attese dal dentista dove ha trascorso undici anni di lunedì pomeriggi: "I corridoi degli uffici pubblici sono tutti uguali. Non trova, professore? A pensarci bene sono poche le differenze tra quelli di una scuola e quelli di un commissariato. E lo stesso vale per i servizi. Ieri ho notato con una certa invidia che a differenza di qui la vostra scuola è tenuta molto bene in quanto a pulizia."
Scomazzon mescola il caffè nel bicchierino con il cucchiaino di plastica.
"Ma se non c'è lo zucchero" gli fa notare l'incongruenza. La seconda incongruenza nello spazio di pochi minuti.
"Lo so, lo giro per sciogliere i granelli del caffè."
Benché seduta, alla Bovera riesce facile trattare con un uomo repellente come Scomazzon, favorita a sua insaputa dall'infatuazione sbocciata per lei al di là di ogni spiegazione logica.
Da parte sua Scomazzon traccheggia in una condiscendenza smaniosa di rivalsa, che tuttavia non gli impedisce una certa intraprendenza prossima all'ironia: "Solo perché mi piace l'amaro in bocca non è detto che sia attratto dal torbido".
La Bovera disdegna l'ironia, la vive come il presentimento di un attacco personale lenito da una forma di cortesia nel fondo ancora più malevola, perché subdola. Ciò non le impedisce, anzi affina la sua capacità di distinguere l'ironia autentica dalle sue contraffazioni. Se teme la prima, nei confronti delle sue contraffazioni indirizza un astio pari al pericolo sventato.
Così: "L'attrazione è di per sé torbida. La purezza e la pulizia sono il nostro modo di tenerla sotto controllo".
"Allora mi deve spiegare come mai tante donne sono attratte dal bianco del vestito da sposa."
"Non è attrazione, badi bene. È l'esorcizzazione dell'attrazione."
Questa volta è Scomazzon a spezzare il silenzio: "Quando pensa che riaprirete la scuola?".
"È così dedito al suo lavoro, professore?" sottolineando "professore" con un eccesso di zelo.
"Be', credo che per i ragazzi sia fondamentale ritrovare la disciplina degli orari, dei compiti, delle responsabilità. E a maggior ragione in una situazione straordinaria, e drammatica s'intende, come questa. Non è d'accordo?"
La Bovera sembra riflettere prima di sbilanciarsi in una rivelazione forse prematura. Senonché proprio la cieca smania di disciplina e l'incongruenza che ora si appunta sulla camicia sportiva di Scomazzon la inducono a parlare: "Sì, sono d'accordo con lei".
Quindi, abbandonandosi a una confidenza: "Vede, questo è un caso molto delicato. Finora non ci sono piste sicure, il che equivale a dire che ci sono decine di piste potenziali e noi non siamo nella posizione di trascurarne nessuna. Le faccio un esempio".
Scomazzon beve il caffè allarmato dall'intimità impostagli dal commissario. Che scuotendo la testa di forfora prosegue: "Da ieri mattina in avanti siamo stati subissati di telefonate di almeno sei persone diverse a proposito dell'omicidio di Rabolini. Tutte telefonate plausibili, di plausibilissimi testimoni, ma ogni volta che abbiamo cercato il riscontro ci siamo ritrovati senza nulla in mano. O il presunto testimone proprio non esisteva: il nome era falso, non un solo dato corrispondeva. O se esisteva era chiaro che non aveva a che fare con la telefonata. Curioso, no?".
Scomazzon ferma all'ultimo la mano alla ricerca del nodo della cravatta che non c'è più: è stipata in un cassonetto della spazzatura in via Melchiorre Gioia.
"E se si trattasse di scherzi?"
Scomazzon impallidisce. Fortunatamente il suo colorito già cereo non subisce variazioni. Il pallore si manifesta nello sconcerto dello sguardo privo di intenti. Lo salva la razionalità con cui si propone di ovviare alla casualità della vita. E prima di tutto la casualità che presiede a questo incontro già troppo lungo con il commissario.
"È contraddittorio parlare di scherzi quando sono presieduti da una logica. Se gli scherzi provengono dagli stessi autori, allora si parla di scherzi premeditati, i quali a loro volta fanno parte di un piano, e un piano si deve attenere a delle regole. A una strategia dotata di fine."
Senza caricare di curiosità il suo tono: "Intanto cominciamo a tornare indietro, io devo tornare al mio lavoro. Come direbbe lei, al mio dovere".
Scomazzon attende che il commissario si alzi. Fa il gesto di darle la precedenza.
"Vada, vada lei. In questo posto conta più la legge dell'educazione." Chissà se esiste una correlazione tra queste parole e la punizione che sta scontando la figlia di Floris?
Scomazzon torna sulla casualità a cui ha attribuito l'incontro con la Bovera. La sente respirare pochi metri davanti a lei riflettendo sulla maldestrezza di tutte e due: della casualità e della Bovera. Forse in combutta contro la sua presunta innocenza. Altrimenti perché anticiparlo nella saletta del caffè dove non ha bevuto il caffè? È fin troppo sciocco eppure accattivante il pretesto di guardare la macchinetta del caffè per riprendersi. Quando sarà il suo turno lo interrogherà comunque. Invece ha voluto scambiare qualche parola prima. Forse per prepararlo, forse per spaventarlo, forse per saggiare la sua reazione: questa terza ipotesi è la più convincente, forse.
Abbassa lo sguardo sul pavimento, scansando i gomitoli di polvere disseminati in una geografia imprevedibile.
Solo davanti alla porta la Bovera si ferma e si rivolge a Scomazzon: "Sono soddisfatta di questa chiacchierata, professore. Spero che la cosa sia reciproca".
Soddisfatta, rimugina Scomazzon roso dal bisogno di chiudersi dentro la giacca del suo completo grigio ferro abbandonata in un cassonetto di via Fara.
Quando rientra nella sala d'attesa si lascia sfuggire un lieve sospiro.
Vanzegoni e la Goglio lo guardano ansiosi. Non si direbbe che solo pochi minuti fa stessero per venire alle mani. Sembrerebbero piuttosto reduci da una turbolenta notte d'amore, timorosi di essere stati scoperti da un imprevisto testimone. È con questa aria di colpa che assistono al congedo della Bovera, sul punto di tornare all'interrogatorio ma ancora piccata da un dubbio: "Lei insegna matematica, vero?".
Scomazzon annuisce, la Bovera gli volta le spalle e scompare nella camera con Corridoni e la Verdelli. Finalmente.
La Marotta spegne la sigaretta a metà.
"Allora, cosa voleva?"
"Non preoccupatevi. Il commissario è una donna piena di scrupoli."

Rispondi

Il contenuto di questo campo è privato e non verrà mostrato pubblicamente.
  • Indirizzi web o e-mail vengono trasformati in link automaticamente
  • Tag HTML permessi: <a> <em> <strong> <cite> <code> <ul> <ol> <li> <dl> <dt> <dd>
  • Linee e paragrafi vanno a capo automaticamente.

Maggiori informazioni sulle opzioni di formattazione.