L'importanza delle pulizie...e diciassette




17. L'ebbrezza della sfida
"Sono trecentotrentacinque euro in tutto" la commessa della Rinascente guarda incuriosita Scomazzon correggendo un cauto sorriso con un colpetto di tosse.
"Ecco" le porge sette banconote da cinquanta perfettamente lisce.
"È proprio sicuro di volerselo tenere addosso così? Guardi che l'orlo è compreso nel prezzo. Domani sera è pronto. Se vuole le chiamo su la sarta."
Scomazzon tace nel suo nuovo completo grigio ferro, di una tonalità più scura del precedente. Accenna a un breve diniego della testa mentre aspetta che la commessa conti le banconote e gli consegni lo scontrino con i quindici euro di resto. Aspettando è colpito dallo strato spesso color amaranto del rossetto per coprire l'imperfezione dell'arco del labbro inferiore, un difetto che trova adorabile.
"Va bene così, davvero" trovandola molto leziosa e al tempo stesso provocante nella sua insistenza sincera. "Comunque la ringrazio della sua cortesia."
Solo quando ha oltrepassato le doppie porte di vetro si sente liberato dal senso di oppressione che l'ha investito al momento di entrare alla Rinascente seguendolo fin nel camerino dove ha provato un fortissimo dolore alle tempie. Il suo unico pensiero è trovare un bar dove bere un amaro.
Lo beve con riluttanza cercando un sollievo che non arriva. Allora si rituffa nella folla di Corso Vittorio Emanuele. Adesso ha bisogno di una borsa di cuoio nuova.
Ha appena svoltato in una traversa pedonale. Ricorda un negozietto di pelletteria proprio dietro l'angolo. Una decina di anni fa ci aveva comprato un bellissimo nessessaire che gli era stato rubato in un viaggio in cuccetta da Roma a Milano, di ritorno da un concorso.
È disorientato nel vedere al suo posto le vetrine asettiche di un negozio di computer. Ciò non gli impedisce di entrare lo stesso e chiedere di provare l'ultimo modello del portatile Apple: "Quello più accessoriato".
Un inserviente giovanissimo troppo simile ai suoi studenti si profonde in dettagli tecnici. Anche lui ne ha a casa uno uguale, lo stesso modello esposto in vetrina. Chiamandolo dottore, gli prospetta almeno tre diverse formule di pagamento agevolato.
"No, se decido di comprarlo lo compro tutto subito."
Il ragazzo è cortesissimo nell'indicargli una saletta appartata con un banco di plastica su cui è acceso il portatile: "Prego, è tutto suo".
Scomazzon si siede sulla sedia girevole e fissa una mela striata dei colori dell'arcobaleno al centro dello schermo luminoso. Finalmente un po' di tranquillità per riflettere. Peccato soltanto che ha smesso di fumare i sigari.
Gli è venuto in mente proprio a metà dell'interrogatorio, quando Corridoni gli ha offerto una caramella Rossana e quasi per celia gli ha domandato che idea si è fatto a proposito del delitto. Gli è venuto in mente senza preavviso, e senza valutare le conseguenze di una reazione tanto vistosa ha fatto scivolare la mano verso la tasca dei pantaloni dove si trovava la copia della chiave dell'Aula Magna.
Perché non l'aveva eliminata come il resto delle prove?
Mostrando stupore verso la colloquialità del tono, Scomazzon si è elegantemente districato con una battuta sulla teoria dei giochi. La risata suscitata nella sala, sottolineata peraltro da un apprezzamento della Bovera, ha distratto la sua attenzione da una dimenticanza tanto grave.
Sembrava che tutto fosse scivolato via senza intoppi. Addirittura Corridoni nel congedarlo gli ha chiesto un parere sul liceo scientifico dove ha iscritto la figlia Isabella per l'anno prossimo.
È stato Rondo, il poliziotto tarchiato che forse per via delle orecchie penzolanti e il naso camuso indaffarato ad annusare attorno gli ricorda un bassethound, a richiamarlo già sulla porta. Aveva bisogno di un documento per il verbale. Corridoni e la Bovera non gli prestavano più ascolto. Colto alla sprovvista, si è ritrovato a balbettare che la carta d'identità non la trova più da qualche giorno, la patente nemmeno visto che le tiene insieme nel portafogli: anche questo scomparso. Ha tutto in casa, non vede perché non debbano essere da qualche parte in casa, però al momento è come se li avesse smarriti.
La Bovera sembrava colpita dalla spiegazione di Scomazzon. "Sono sbigottita da una simile distrazione da parte di un uomo tanto ligio" ha detto più o meno, accompagnando l'affermazione con un prolungato arricciamento del naso che le ha messo in rilievo due venuzze rosastre che gli ricordavano il Tigri e l'Eufrate. Quindi ha invitato il professore a seguire Rondo nell'ufficio denunce.
Nel ricostruire l'interrogatorio, durato non più di venti minuti, Scomazzon oscilla tra la giovialità rassicurante di Corridoni e il sincero sconcerto nell'insinuazione del commissario sulla sua attitudine all'ordine. Quando prevale la seconda immagine il pensiero corre alla conversazione nella saletta del caffè. Chissà se incontrando un altro professore, magari Vanzegoni o Oregna o la Verdelli, avrebbe rivelato anche a lui l'indiscrezione degli scherzi. Gli riesce sempre più difficile separare l'intenzionalità dalla casualità nelle mosse di quella donna posseduta da un fascino irrazionale. Forse la stessa irrazionalità alla base del suo comportamento contraddittorio. Prima lineare, poi allusivo. Prima abbarbicato ai fatti, poi alimentato da intuizioni.
"Tutto bene, signore?" lo interrompe l'inserviente.
Cincischiando qualcosa Scomazzon si alza di scatto ed esce dal negozio.
A lunghe falcate, lunghe quanto le sue gambe corte e tozze per di più esposte al rischio di crampi gli consentono, raggiunge la fermata dei taxi di piazza San Babila. Si accoda a una coppia di giapponesi. La terza auto è la sua. Una Multipla guidata da un uomo calvo con una camicia a maniche corte che lo accoglie con innaturale espansività: "Anche lei al convegno?".
Lasciando cadere la domanda, forse dovuta al completo grigio ferro: "Via Arbe, 31".
La chiave dell'Aula Magna lo punge all'altezza dell'inguine. Gli sembra strano che nessuno ne abbia fatto menzione nel corso dell'interrogatorio. A meno che il preside abbia già chiarito questo punto e la Bovera si sia riservata di affrontarlo solo se confortata da prove o da sospetti più concreti. In fondo tutti i professori sono a conoscenza del cassetto in sala professori dove si trovano le copie di tutte le chiavi della scuola. Il cassetto viene aperto la mattina da Oreste il quale lo richiude dopo il suono della campanella della quinta ora. Tutti vi possono attingere senza bisogno di chiedere alcun permesso. Da che insegna in questa scuola non ricorda di un caso di smarrimento. Cionondimeno, questa omissione da parte della Bovera potrebbe essere riconducibile a un piano premeditato. A meno che non si tratti di un errore. Un banalissimo errore. Pur giocando a suo favore, la possibilità di inadempienze nelle indagini altererebbe gli equilibri dei suoi stessi ragionamenti nonché la logica delle sue mosse, quasi rassicurati nell'attribuire una condotta razionale e pertanto prevedibile alle indagini.
Quando si accorge che il taxista ha messo la freccia per girare da corso Venezia in via Palestro, Scomazzon volta ansiosamente lo sguardo lungo il cancello oltre il quale rivede da un'angolazione in movimento il percorso tra sé e l'uomo in frac. Non più di trenta metri percorsi in un paio di secondi, mentre giovedì ne aveva impiegati almeno una quindicina.
"Ci passa spesso davanti ai Giardini in un giorno?" si informa dal taxista.
"Be', avendo la stazione in San Babila... mi ci faccia pensare. Non so, almeno una dozzina di volte?": è un problema che non si è mai posto.
La Multipla sta bordeggiando i Giardini pubblici verso piazza Cavour. I sobbalzi sulla strada lastricata di pavé, il ronzio dell'aria condizionata e la radio che annuncia il calo di vendite nazionali di ombrelli attenuano la sensazione di allerta con cui Scomazzon misura ogni suo atto ma ancora di più ogni suo pensiero. Deluso dall'imprecisione della risposta, riserva alla propria immaginazione l'ipotesi dell'omicidio commesso davanti al Museo naturale giovedì mattina. Il numero dei potenziali testimoni sarebbe stato incontrollabile. Chiunque si sarebbe ricordato di un uomo in frac in pieno giorno. In più lui non avrebbe avuto possibilità di fuga, quantomeno sarebbe stato identificato con facilità. Invece il fatto che non l'abbia visto nessuno, nemmeno chi dovrebbe garantirgli un alibi, costituisce un vantaggio. L'inattaccabilità del suo senso del dovere lo rende immune dai sospetti dei colleghi, al contrario vulnerabilissimi nei loro continui sotterfugi che lui ha sempre coperto per un inspiegabile senso di solidarietà che ora, nonostante la sua risaputa antipatia, gli sta tornando utile.
Eppure, passando in rassegna i vantaggi di cui gode sulla Bovera, teme che questa sua posizione di relativa sicurezza finisca per nuocergli. La tempestività con cui sta eliminando i legami tra sé e l'omicidio, se scoperta rischia di diventare controproducente. Ecco perché disdire stamattina l'affitto dell'appartamento di via Arbe, 31 potrebbe essere una scelta avventata. Qualora risalissero alla parete comunicante con i Colorni, fatto improbabile ma tutt'altro che da scartare, questa decisione immediata di liberarsi dell'appartamento andrebbe giustificata con una ragione tanto convincente da sfiorare il ridicolo. Certo, potrebbe chiamare in causa la rumorosità che gli impediva di lavorare, ma non sarebbe una grande pensata: "Mi scusi, ho cambiato idea. Mi lasci per favore in fondo a via Turati. No, è meglio se mi porta in via Moscova, all'angolo con largo La Foppa".
"Sei e cinquanta": il taxi si è accostato sull'angolo con le doppie frecce in funzione.
"Oddio il portafogli" si allarma Scomazzon non trovandolo nella tasca posteriore destra dei pantaloni. "Ah, già!" rovista dentro il sacchetto della Rinascente con i vestiti di quando è uscito. "Un attimo solo, per cortesia" Nella tasca posteriore destra dei pantaloni di flanella ripiegati sotto la giacca e la camicia riconosce subito il fermaglio d'argento. Con una certa fatica lo sfila e lo mostra al taxista prima di sfilare una delle tre banconote da cinquanta rimaste dai cinquecento euro prelevati dal suo nascondiglio in un cassetto a doppio fondo del suo bagno.
La stessa oppressione di poco fa, sprigionata con violenza imprevista dal ritorno al caldo di mezzogiorno, lo tramortisce a metà di una decisione accarezzata con perfidia nel corso della notte passata interamente in via Arbe, 31. A dispetto dei suoi fermi propositi, l'idea del conforto delle voci delle prostitute l'aveva convinto a somministrare una seconda volta i sonniferi a Loredana.
Ieri notte appariva molto più semplice, soprattutto le parole fluivano con naturalezza nel calibrare le minacce a Alfredo Colorni. Aveva perso fin troppo tempo a compiacersi della propria lungimiranza. Un colpo di genio quello di sequestrare il telefonino di Margherita Scanziani quando aveva suonato una marcetta di Strauss durante un'interrogazione. Nei due giorni intercorsi fino alla restituzione aveva avuto tutto l'agio di copiare i numeri su un taccuino di pelle nera che si è premurato di bruciare insieme al resto del contenuto della sua borsa. Grazie alla sua dimestichezza con le cifre abbinata a una memoria prodigiosa gli ci sono voluti pochi minuti per memorizzare la maggior parte dei numeri.
Quello di Alfredo è 333-598.20.93. Lo compone dentro una cabina.
"Sì?" risponde inaspettatamente Bianca.
Scomazzon tossisce.
"Con chi parlo?"
"Questo non conta" sforzando il diaframma per imprimere profondità alla voce.
"Come?" ancora confusa: allarmata no.
La voce di Scomazzon è compressa in un sibilo serpentino di tutt'altra natura rispetto alla frase precedente: "Questo non è uno scherzo".
Il silenzio di Bianca lo incoraggia: "Ne sapete un po' troppo di scherzi voi, eh?".
"Cosa vuole?" si difende con la stessa inermità attonita dell'uomo in frac.
"Che nessuno sappia dei vostri scherzi" pronuncia la minaccia troppo velocemente, avrebbe preferito inframmezzarla con un altro silenzio.
Sembra che Bianca aspetti altre parole. Tace in attesa.
Scomazzon incrocia lo sguardo di una vecchina con la testa riparata in un foulard pieno di pesci multicolori che agita una tessera telefonica sbraitandogli contro un'urgenza improrogabile. Nel riattaccare si lascia sfuggire un sospiro di delusione: sarà stato sufficientemente persuasivo?
Un cruccio che avrà presto risposta, ne è sicuro.
Solo quando supera il girello della metropolitana è assalito da una paura nuova, finora sfuggitagli per l'ansia di tenere a bada la frenesia di Bianca e Alfredo. Se, contrariamente alle sue aspettative fondate su una conoscenza comprovata della psicologia dei mentitori, i Colorni le riferiranno la telefonata, la Bovera verrà a sapere che i loro scherzi avevano un ascoltatore.
No, non è paura: sorride Scomazzon a una vecchina seduta davanti a lui nella cabina della metropolitana. Quante vecchie in circolazione, pensa mentre ha trovato il nome da dare a questa nuova sensazione di pericolo. L'ha sentita pronunciare in tanti di quei film senza nemmeno sospettare il furore totalizzante dell'ebbrezza della sfida. In questo momento sarebbe capace di alzarsi, raggiungere in uno scatto la vecchia e colpirla con tutta la violenza in corpo solo per dimostrare la sua onnipotenza.
"Onnipotenza" sorride ad alta voce.
Una sensazione che non lo abbandonerà mai, ne è convinto. Persino salendo le scale di casa sua lo pervade incitandolo a un gesto estremo, come confessare tutto a Loredana e poi lasciare fare all'istinto, tanto tutto è possibile.
"Corri, corri" la moglie lo chiama dal pianerottolo. È eccitatissima.
"Cosa c'è di tanto urgente?" costringendo l'onnipotenza all'attesa.
"Corri a vedere al telegiornale. Hanno incriminato la Verdelli per l'omicidio a scuola."
Scomazzon corre verso il televisore acceso al massimo in salotto. La sua onnipotenza è vinta dal primo piano della sua ex amante che in manette si schermisce dall'assalto dei cronisti.