L'importanza delle pulizie...E' FINITA!

25. La Torre Eiffel

Anche il sindaco è annunciato. La riapertura della scuola sarà un avvenimento di ludibrio e politica.
"I giornalisti non entrano."
Gli agenti Corletto, Napoli e Tassinari stanno impiegando tutta la loro risolutezza più garbata per respingere la ressa di cronisti schierati ai bordi della strada transennata.
"Giovedì mattina le lezioni dovranno tassativamente riprendere." Questa la decisione del preside Civitati. Nel tardo pomeriggio di ieri ha ordinato alla sua segretaria Jolanda di comunicarlo al telefono agli organi di informazione nonché al procuratore Corridoni, al prefetto e al sindaco, impegnato in una concitata seduta comunale in cui si prendeva in esame l'opportunità di istituire un assessorato straordinario alla sicurezza dei minori. Il nome di Corridoni sembrava il più accreditato a rivestire le "asperità psicologico-logistiche" dell'incarico.
Il preside oggi è assente giustificato. Sempre Jolanda si è premurata di aggiornare i docenti increduli sul decorso di una sua congiuntivite a uno stadio avanzato - non terminale come l'aveva sollecitata a riferire Civitati stesso, in preda alla calma da psicofarmaco.
Lo scintillio dei flash si moltiplica e le voci si mescolano in un boato confuso quando da un taxi scendono Bianca e Alfredo Colorni. Sono accompagnati dall'avvocato Caressa. La mano sinistra sulla spalla di Bianca, la destra impegnata in una via di mezzo tra il saluto e il diniego. Continua a ripetere: "Sono minori, signori".
Barbara segue la scena dall'auto, riparata dietro un paio di occhiali da sole.
Neospecialista in bambini, il noto cronista somigliante a Di Caprio raggiunge con urlo i fratelli Colorni mentre stanno salutando Virgilio, il nuovo fidanzato della madre: "La paura rende coraggiosi?".
A regolare il flusso delle entrate, scalpitante nel suo abito da cerimonia fumo di Londra si riconosce la figura corpacciuta di Oreste, arzillo di maniere fin dalle sei quando si è presentato davanti al portone piantonato da due agenti distribuendo sorrisi ai primi fotografi già sul posto.
"È una festa" commenta una madre vestita di seta lilla baciando il figlio sulla testa impomatata di gel: "mi raccomando, applaudi quando parla il sindaco."
I professori sono già nelle classi. Jolanda li ha convocati con un'ora di anticipo rispetto all'orario abituale. Solo Vanzegoni ha avuto da ridire, preoccupato della sorte dei suoi libri antichi che giacciono tuttora in uno scantinato del commissariato di polizia.
Il corpo professori è rappresentato al completo, fatta naturalmente eccezione per il preside indisposto. È arrivata anche la professoressa Goglio, soprassedendo con indifferenza dichiarata al suo giorno di riposo. Jolanda si è incaricata di smistarli subito nelle classi. Per sottolineare l'eccezionalità della giornata ha ordinato al bar cappuccio e cornetti per tutti. Purtroppo gli agenti all'ingresso, ligi all'imperativo di non lasciar passare elementi sospetti, si sono rifiutati di far entrare il barista Billy Boy a causa dei capelli rossi compromessi dal passaporto irlandese.
Alle otto e dieci la campana suona regolarmente.
In sala professori Scomazzon sorseggia un bicchier d'acqua senza ricambiare il saluto della Goglio, desiderosa di un compagno di chiacchiere nel corso di una mattinata senza lavoro che culminerà nella grande festa in cortile alla quale presenzierà il sindaco in persona. Spetterà a lui, al termine di un discorso elogiativo sull'efficienza della polizia e del reparto artificieri che hanno disinnescato la bomba, premiare il commissario Bovera con una medaglia d'argento sponsorizzata da una nota ditta produttrice di fucili subacquei.
"Anche tu senza lezioni?"
"Alla seconda ora sono in Quarta C", la classe di Alfredo Colorni.
Preceduta da uno scalpiccio di tacchi fa capolino la testa di Jolanda, un po' delusa che finora nessuno si sia accorto della nuova tinta di capelli: secondo il suo parrucchiere, già ristoratore di un certo prestigio, un giallo risotto al tartufo. Con tutto quel po' po' di giovani poliziotti e giornalisti bisogna darsi da fare, no?
Il professor Scomazzon ha bisogno di stare solo. Ha ragione sua moglie, lo deve riconoscere. Stamattina l'ha accolto in cucina con il televisore spento. Si è offerta di imbastirgli l'orlo dei pantaloni grigi: non si poteva presentare sciatto in una giornata speciale per la scuola. Spontanea, briosa, solo a tratti agitata da una smania espansiva ignota alla costituzionale afflizione vittimista. Piegata ai suoi piedi con ago e filo ha sottolineato una seconda volta l'eccezionalità della giornata: "Un evento". Era prodiga di suggerimenti su come comportarsi. Ogni osservazione cadeva su una novità che lo riguardava. Il nuovo taglio di capelli che avrebbe reso più solare la sua faccia sulla nuova fototessera dei nuovi documenti. Poi l'approvazione per averla fatta finita con la vecchia borsa di cuoio, subito seguita dal dubbio su dove è finita la Mont Blanc che di solito spunta dal taschino della sua giacca. Quindi una goccia di caffè è andata a cadere dalla tazzina che gli tremava tra le mani sulla scatola fiorata del cucito. Forse Loredana non aspettava altro per domandare: "Hai idea per caso di dove sia finito il mio canovaccio con le paperelle? Era l'ideale per pulire". Non ha sbagliato un riferimento né il tempo di un verbo per insufflargli il dubbio che lei sospetti o addirittura sappia più di quanto voglia fargli credere. È stato necessario tutto il suo autocontrollo per opporre una freddezza noncurante alla pioggia di allusioni. Sebbene un tempo l'avesse stimata per l'accuratezza e la visionarietà della sua tesi sui barbiturici, non poteva ipotizzare tanta lucidità da parte della moglie: "Due vittorie senza merito: l'assassino l'ha fatta franca senza sapere perché, la polizia ha risolto il caso con un altro colpevole". Ha ragione sua moglie.
Adesso è solo, cammina lungo il corridoio del primo piano. Si è fermato due volte davanti alla finestra alla sua destra. Sotto si affaccia il cortile lustrato a festa. Una squadra di operai sta finendo di montare un palco al centro del campo di basket. Oreste conta le sedie allineate in quattordici file: anche Scomazzon le ha contate. Due uomini piegati su una cassa acustica ai piedi del palco armeggiano con dei fili. Delle ragazze uguali una all'altra in tailleur rosso fuoco ultimano i preparativi ordinando i bicchieri in geometrie piramidali sul tavolone del rinfresco, spostando fiori, saggiando la tenuta del lungo striscione appeso al posto della rete di pallavolo. In precisissimo stampatello rosso si legge "Bentornati a scuola!".
La tentazione di gettare lo sguardo sulle finestre delle classi alle sue spalle affolla la solitudine di Scomazzon di un presagio di volti. I volti da cui lo separavano le pareti rumorose del suo studio in via Arbe, 31. Il volto della Verdelli, l'unica a varcare la soglia di quel nascondiglio. Quando si sono incontrati fuori dalla scuola, lei l'ha guardato con disprezzo. Un'espressione paradossalmente uguale a quella che le si accendeva nei momenti di ardore. Quanto lo urta l'incapacità di distinguere due sentimenti opposti sullo stesso volto in balia degli stessi tratti ripetitivi.
I volti ammiccanti di Oreste e Vanzegoni, la leggerezza omertosa con cui gli hanno fornito un alibi irrichiesto, ancor peggio: l'ovvietà dietro la leggerezza. Due volti che poco fa gli hanno sorriso. Complici nell'ignoranza. C'è anche il volto di Rabolini, l'incredulità con cui non ha fuggito la morte. Per una ragione quasi istintiva, il volto di Rabolini rivive nello sconosciuto che ha rubato l'arma del delitto: anche il volto di Stazzi annaspava nel dubbio alla vista del tubo spuntato.
Gli rimangono i volti dei fratelli Colorni e quello irresistibile della Bovera. Si riconosce nella perversione di Bianca e Alfredo, la coerenza con le proprie ossessioni. Senza la perseveranza dimostrata nella fermezza di non ritrattare la prima versione dei fatti da una parte e di infittire di omissioni le loro confessioni dall'altra, le indagini sarebbero state agevolate in maniera considerevole. Anche la riconoscenza che deve a loro due, soprattutto a Bianca per aver taciuto sulla telefonata minacciosa, è una prova del suo fallimento decretato con parole irrevocabili da Loredana. Ha ragione sua moglie.
Sospinto dall'inesorabilità della paura di non vedere quello che non può più sentire, allunga il collo oltre la finestra della Quinta B.
Ecco Bianca, attenta nel suo volto compito.
Quando è entrata in classe si è seduta al suo posto a fianco di Rosalia Varotto, una spilungona che parla solo di formaggi della Baviera, un caso abbastanza incomprensibile persino per lo psicologo che la segue ogni giorno dalle cinque alle sei del pomeriggio.
"Ciao Rova": questo il soprannome che fonde nome e cognome nel femminile di rovo, una pura combinazione che però rende icasticamente alla perfezione la morfologia dei capelli della ragazza.
"Sei famosa come la caciotta Hoberbraun" si è profusa in un sorriso di ammirazione a cui Bianca ha risposto con una risata liberatoria.
Scomazzon ritira lo sguardo. Ha deciso che alla prossima ora di lezione interrogherà Alfredo. Spera solo che sia bravo come al solito per inchiodarlo in un dubbio e rimandarlo al posto con un quattro, dicendogli una volta per tutte che non basta ottenere il risultato prefisso per raggiungere la perfezione, solo la consapevolezza ci mette al riparo dal caso e ci rende meritevoli del successo. Questo gli dirà.
Invece la voce esaltata di Jolanda annuncia dall'altoparlante che il sindaco è già arrivato e invita tutti i professori a condurre ordinatamente le classi in cortile dove un sole ridente farà da cornice luminosa ai festeggiamenti per il ritorno alla normalità. Quindi, ma Scomazzon ha perso interesse ad ascoltarla, comincia a leggere un lungo telegramma del preside indirizzato agli alunni, già sulla via della porta.
Tornato alla finestra sul cortile, Scomazzon nota subito il nugolo di gente che attornia il sindaco, riconoscibile dalla fusciacca tricolore. Le telecamere hanno ricevuto il via libera e avanzano sulle spalle di ragazzoni che si fanno largo a pugni tra uomini e donne accorsi per assistere all'evento. Ora che gli studenti scenderanno in cortile le sedie saranno già tutte occupate da questi intrusi. Nel frattempo le casse acustiche sono entrate in funzione riempiendo l'aria delle note dell'Inno di Mameli.
Oreste si sbraccia per dare indicazioni a qualcuno ancora al di fuori dalla sua visuale. Si è tolto la giacca: Scomazzon lo riconosce dall'immediatezza dei risultati di quel suo frenetico gesticolare. La folla si apre per lasciar passare un carrello spinto da Mirnesa, la bidella bosniaca assunta grazie alla partecipazione olimpica nel sollevamento di pesi che la rende un elemento prezioso nei numerosi traslochi di banchi.
Il carrello scorre tra la folla che una volta passato si richiude di gente. Scomazzon lo segue con lo sguardo. Stentando la sua credulità, fissa lentamente la concentrazione sulla grande costruzione appoggiata sopra il carrello. L'intrico ordinato di tubi che ascendono al cielo in una dimostrazione di funzionalità, razionalità, ambizione. La Torre Eiffel su cui era franato dopo aver ucciso l'uomo in frac. Che adesso si faccia vivo il volto di chi ha potuto tutto ciò!
Non riesce a pensare ad altro, impettito sul palco tra il sindaco e la Bovera. È lei che ha richiesto ufficialmente di essere premiata dal professor Scomazzon. L'aveva detto, che è una donna piena di scrupoli.
Aspetta il volto mancante nella folla. Aspetta invano, stringe la mano alla Bovera, è vicinissimo alla sua bocca immobile di sorrisi quando le mette al collo la medaglia, aspetta da solo tastando la chiave dell'Aula Magna, la prova del suo fallimento custodita nella tasca destra del nuovo completo grigio.
Ma il carrello con la Torre Eiffel? Il frastuono scrosciante ai piedi del palco non sono applausi, una volta tanto. L'assordare metallico dei trecentoventotto tubi sul cemento si diffonde nel cortile in subbuglio di panico. Il sindaco scompare tra le spalle delle guardie del corpo. Gli spettatori sulle sedie sono tutti in piedi. Neppure dalla posizione privilegiata del palco è possibile stabilire chi per primo abbia impugnato un tubo perché già gli altri, giornalisti, intrusi, studenti e professori, tutti tranne i cameramen al lavoro, hanno seguito l'esempio, e chi non è riuscito ad afferrare il suo tubo si avventa su chi ne ha uno, tenta di strapparglielo per lottare anche lui. Contro chi o cosa non si sa. L'importante è essere armati.
Rimasti soli sul palco, il professor Scomazzon e il commissario Bovera si guardano negli occhi. Se solo fossero un po' ironici, quale occasione migliore per baciarsi?

Rispondi

Il contenuto di questo campo è privato e non verrà mostrato pubblicamente.
  • Indirizzi web o e-mail vengono trasformati in link automaticamente
  • Tag HTML permessi: <a> <em> <strong> <cite> <code> <ul> <ol> <li> <dl> <dt> <dd>
  • Linee e paragrafi vanno a capo automaticamente.

Maggiori informazioni sulle opzioni di formattazione.