L'importanza delle pulizie...e nove

Ven, 03/28/2008 - 17:00

L'importanza delle pulizie...e nove



9. Come un tempo
La sala professori è un viavai di lamentele contro il caldo torrido e i padri sorridenti delle pubblicità delle merendine, bicchierini di caffè bevuti e abbandonati sul tavolo, timidi progetti sul finesettimana alle porte.
"Questa mattina ho due ore in Quarta A" si avvilisce il professor Oregna, l'insegnante di storia, appena risorto dalla terza depressione in due anni per la quale lo davano ormai spacciato.
"Consolati, io ho quattro classi diverse. Il che vuol dire perlomeno cento diversi modi e tutti sbagliati di pronunciare una poesia di Yeats" lo consola a modo suo la Verdelli, stupita nel vedere Scomazzon tra loro. Di solito arriva a scuola tre minuti prima dello squillo della campanella ed entra direttamente nella classe in cui ha lezione senza passare dalla sala professori. Fino a quando loro due erano amanti, invece: su questo pensiero si incanta il sorriso della Verdelli, che per intensità e sbigottimento spaventa il professor Oregna al punto di fargli credere che la battuta su Yeats di poco fa fosse in qualche modo uno sberleffo nei confronti della sua labilità psicologica.
"Oh, caro Scomazzon" gli si fa appresso un po' ammiccante Vanzegoni. E abbassando sensibilmente il tono di voce: "Non ti ho più ringraziato per il favore dell'altro giorno. Sempre pronto a ricambiare".
"Cosa vuoi, tra colleghi."
"Ragazzi, io vi saluto che devo sezionare il fegato di un vitello!"
Alle parole della professoressa Goglio, Oregna risputa il caffè nel bicchierino spandendolo sulla pila dei fazzolettini di carta.
"Ha sempre voglia di scherzare quella donna" sorride la vicepreside Marotta, la quale sdegnosamente volta le spalle a Oregna, a pochi minuti da una quarta e definitiva crisi depressiva se il caritatevole Vanzegoni non se lo prendesse sotto il braccio proponendogli un giretto verso gli spogliatoi femminili della palestra per aiutarlo a stabilire se un apprezzamento sessuale nei confronti del preside Civitati sia un insulto o un complimento.
"Nel primo caso va assolutamente avviata un'inchiesta con relativi provvedimenti, nel secondo bisogna consultare l'opinione del preside stesso" ridacchia.
Oregna non fa a tempo a uscire dalla sala professori al seguito di Vanzegoni, che già la Marotta spettegola sulle voci secondo cui è stato dimesso dalle Betulle solo perché il suocero si rifiutava di continuare a pagare.
Approfittando del consenso di malumore regnante tra i professori, la Verdelli abborda con noncuranza Scomazzon.
"Come mai qui?"
"A volte si cambia idea" insinua e tace.
"In che senso?"
"Il tuo difetto principale è sempre stato quello di vedere nelle parole significati diversi da quello che vogliono dire."
"Siamo in vena di complimenti, oggi."
Invece di inalberarsi in uno dei soliti silenzi, si scusa: "Non era mia intenzione, sul serio".
La Verdelli stende gli angoli della bocca fino quasi a emettere una vibrazione. È il suo sorriso più sensuale.
"Stavi dicendo, Vitti?"
"Vedo che capisci."
La Verdelli è sopraffatta da un'eccitazione sudante. Si umetta la fronte con il fazzoletto di carta bagnato del caffè sputacchiato da Oregna.
Scomazzon trattiene una smorfia di disgusto.
Altri saluti di professori condannati alla lezione, qualche parlottio di chi inventa una scusa per ritardare il supplizio. I pettegolezzi non ancora finiti: "Il suocero di Oregna non aveva mica una farmacia dalle parti di piazza della Repubblica?".
"Vorresti dire che...?" la Verdelli ruota lo sguardo come se dovesse imitare le acrobazie acquatiche di un delfino.
"Sì, Giannalisa."
"Dimmi che non stai mentendo."
Scomazzon affonda le mani nelle tasche. Si sente il collo più rigido del solito e pensa con insistenza alla pisciata che si farà tra pochi minuti in bagno. Adesso però non può fallire: "Ti ricordi la prima volta? Il documentario in aula di scienze all'ultima ora, noi due seduti in fondo, la mia mano che ha sfiorato il tuo seno, poi dentro le tue mutandine...".
"Basta, ti prego" arrossisce d'impazienza la Verdelli: "potrebbero sentirci."
"... poi ce ne siamo sgattaiolati nel bagno delle donne. Con quanta foga, ricordi. Ti ricordi come godevi."
La Verdelli è rossa d'ardore. Si soffia il naso col fazzolettino imbrattato del caffè sputacchiato da Oregna, improvvisa un attacco di tosse per giustificare quest'accensione purpurea del volto, chiede di essere accompagnata in infermeria.
"Ci penso io." L'ha già afferrata per un braccio Scomazzon.
Aspetta che siano da soli in ascensore per aggredirla con un bacio umido che termina con un morso al labbro inferiore.
"Ahi!" si eccita ulteriormente la Verdelli.
"Adesso però basta. Resisti ancora un po'."
La Verdelli preme di nuovo il bottone dell'ascensore.
"Ma cosa fai, vuoi tornare su?"
"Facciamolo qui" sbraita in preda a una passione sfrontata come il rosso carota dei suoi riccioloni ballonzolanti.
"Un po' di pazienza, Giannalisa" se la sbroglia di dosso con una spinta che invece di tracollarla la incita a un secondo attacco. Questa volta blocca l'avanzata premendo le mani contro le spalle.
"Più tardi, se vuoi tu."
La lascia così, interdetta di desiderio dentro l'ascensore che qualcuno ha chiamato al piano terra.
Scomazzon si affretta verso il bagno dove si sciacqua freneticamente la bocca. Non osa controllare l'ora: per la prima volta dall'inizio della sua carriera giunge in classe in ritardo.