L'importanza delle pulizie...e dodici

Ven, 04/18/2008 - 10:53

L'importanza delle pulizie...e dodici

 
 
12. L'importanza delle pulizie
"Commissario, secondo lei è più grave dare a qualcuno del cretino o dell'idiota?"
"Lascia perdere, Rondo, in questo momento non ho tempo per i tuoi tormenti linguistici."
"Scusi, non volevo..."
La Bovera alza la testa dalla scrivania intasata di fascicoli sparpagliati a casaccio. "Sbaglio o avevamo stabilito una volta per tutte che mi davi del "tu"? Sei pure più vecchio di me. Di nove mesi, giusto?"
"Be', se si ricorda bene quando è successo erano le tre di notte. Eravamo alle Due Lucie, c'era anche Manolo. E con rispetto parlando eravamo tutti e tre un po', come dire..."
"... Ubriachi?"
"Ecco la parola giusta! Nella verità c'è sempre il vino. E poi lei una volta mi ha detto di non prenderla sul serio quando è..."
"Ubriaca!"
Irritata dal balbettio petulante a cui Rondo la sta sottoponendo da più di un'ora, la Bovera è impegnatissima a smistare i verbali negli incartamenti corrispondenti, riporre nei classificatori i documenti che non le servono più, ripulire i cassetti dalle carte di caramelle accumulatesi nel corso della settimana e nel frattempo liberare un angolo della scrivania dove ordinare cronologicamente per poi rileggersi con calma i ritagli dei giornali sui casi che sta seguendo. Il che non le impedisce di dar retta a Rondo. Ogni tanto lo zittisce perché è il solo modo per fargli cambiare argomento, sebbene non sempre funzioni.
Ormai è diventata un'abitudine consolidata passare la mattina della domenica in ufficio. Alle sette e un quarto si ritrovano davanti al bar Corona deliziati dalla sensazione di libertà delle strade senza traffico. Dopo un caffè amaro e un bicchiere d'acqua di rubinetto, secondo la Bovera l'unico modo giusto per iniziare la giornata, salgono in commissariato e si mettono al lavoro.
La Bovera è rinfrancata di mettere tra sé e l'idillio cinguettante dei suoi genitori almeno quaranta chilometri. La domenica mattina è tutto un trafficare di abiti buoni per la messa delle undici e bricchetti di vino in cui rosolare il brasato per il pranzo, imprecazioni contro la nebbia e progetti di ristrutturazione della taverna nel seminterrato. Se rimane a casa non può sottrarsi al rituale della scelta della tovaglia, un'autentica fissazione della madre che in gioventù aveva lavorato come ricamatrice "presso una rinomata casa" di cui ancora oggi si rifiuta di rivelare il nome alla figlia. Appena fidanzatasi con Felice, ha abbandonato seppure a malincuore la sua vocazione per dedicarsi al negozio di abiti per taglie forti del futuro suocero Otello Bovera. Allora era una piccola bottega in una viuzza di Pavia. Oggi l'attività di Gioia e Felice comprende ben otto negozi nell'Oltrepo. L'originaria bottega è diventata la sede legale della società che controlla la catena "Esuberanze festose". 
Rondo invece è taciturno sulla sua vita privata. Gira la voce che sia un solitario, appassionato di pelota e cibo cinese. Secondo la psicologa criminale Olga Sgambati le sue indiscusse potenzialità omicide sarebbero state contrastate con successo grazie a un super-ego allenato dal padre caporeparto in una fabbrica di infissi e dalla madre responsabile del personale di un grande magazzino. La telefonista Marina asserisce di averlo visto in più occasioni al Mac Donald's in galleria con una signora platinata di almeno cinquant'anni. Va però precisato che Marina è vegetariana.
Stranamente Rondo ha preso alla lettera il suo ordine di tacere, così la Bovera non riesce a trattenere il bisogno di puntualizzare.
"Insomma, come te lo devo spiegare che fino a sette bicchieri di Bonarda sono perfettamente consapevole di tutto quello che dico?"
"Ma come faccio a contare i bicchieri che beve?"
"Va bene, va bene, continua a darmi del "lei" e finiamola qui. Però adesso lasciami lavorare in pace, voglio che sia tutto in ordine per le undici e mezzo": l'ora dell'appuntamento telefonico settimanale con il giudice Romualdo Corridoni, titolare di quasi tutte le inchieste di cui è a capo la Bovera.
"Veramente è stata lei a chiedere..."
"Dove sarà finito il dossier sul caso del bisnonno di Tesio?" rovista senza successo nell'ultimo cassetto della scrivania. Le mani stropicciano decine di cartine di plastica rossa delle caramelle Rossana.
Sta evitando accuratamente lo sguardo di Rondo. Diventa nervosissima ogni volta che cita il nome di Corridoni. La sola idea di sentire la sua voce celestiale al telefono le provoca un'improvvisa sudorazione. Appena è sicura di non essere osservata impastrocchia le mani dentro il caschetto alla Louise Brooks nel tentativo di scrollarsi di dosso tutta la forfora accumulatasi sotto lo strato compatto di lacca fissante. Vuole presentarsi impeccabile al momento della telefonata.
"Ah, dimenticavo. Ha telefonato Corridoni quando era di là ai..." si fa forza Rondo, incapace però di pronunciare la parola "servizi".
"Quando? Com'è che ti dimentichi una cosa del genere? Altro che il "tu", se vai avanti così dovrai chiamarmi signora commissaria e darmi del "voi". Su, dimmi cos'ha detto."
Rondo reprime una risatina malevola, oggi non è il caso di eccepire sulle simpatie della Bovera per il giudice. "Niente, ha detto che alle undici e mezzo non poteva chiamare perché doveva portare la moglie e i figli dai suoceri in campagna. In Brianza, se non sbaglio. L'ho aggiornato io sull'..."
"Va bene, va bene, adesso per favore lasciami davvero in pace. La prossima volta che m'interrompi ti mando giù a comprare le caramelle."
"Ma se ci sono i cassetti pieni..."
Per fortuna squilla il telefono.
"Rispondo io, signora commissario?"
Non ricevendo risposta, alza la cornetta sulla scrivania della Bovera.
La Bovera conosce alla perfezione l'inflessione di Rondo, lavorano insieme da sei anni, quando era ancora ispettore a Pavia. È stata lei a volerlo con sé quando l'hanno trasferita a Milano. Spera di sentire la sua voce liquefarsi di riverenza ironica: la riverenza è indirizzata all'autorità del giudice Corridoni, l'ironia alla sua infatuazione fin troppo visibile. Si prepara quasi ad arrossire mentre si avvede dell'altro tono di Rondo, tanto inframmezzato da attese quanto rapido nel tradursi in azione: "Va bene, siamo lì in cinque minuti".
La sirena spiegata della Regata verde pistacchio, la Bovera coi fintiray-ban modello Blues Brothers ondeggianti tra la strada davanti e lo specchietto retrovisore in alto, Rondo con l'orecchio attaccato al cellulare che contemporaneamente la ragguaglia sulla situazione.
"Secondo una prima valutazione è morto ieri, all'incirca tra le dodici e le tredici. Nel pomeriggio Manolo gli farà l'autopsia. La scuola oggi era chiusa. Questa mattina alle sette e dodici è arrivata una telefonata da una cabina non identificata che avvisava di un delitto. La voce era di un uomo, contraffatta male nel senso che non si capiva bene cosa diceva. Dalle registrazioni non si cava nulla di più, se non che l'autore della telefonata era spaventato a morte. La vittima è un certo Rabolini Renato, quarantun anni, celibe, operaio siderurgico alla Breda. In quest'ultima settimana aveva richiesto un permesso per giovedì la mattina stessa e così anche per sabato, fatto assolutamente unico in vent'anni di carriera. Questo sabato doveva fare uno straordinario. I suoi superiori lo descrivono come un uomo scrupolosissimo, un lavoratore modello."
"E allora com'è che non l'hanno mai promosso?" sbuffa la Bovera scalando la marcia prima di una curva a gomito che affronta a ottanta all'ora.
"Non ha parenti stretti se non una sorella... in merito alla quale i colleghi sono stati molto evasivi. Uno addirittura sostiene che sia stata una suora - si può dire una suora spretata o si dice suora desuorata?"
La Bovera ride: "Nient'altro?".
"Tutto qui." Chiede conferma al telefonino: "Sicuro che non ci sia nient'altro? Va bene, noi siamo quasi arrivati. Ci vediamo lì".
"Secondo te chi è stato?"
"Fo-forse un..."
"Un professore o uno studente?"
"Lei vuole dire che..."
"Dicevo così, per scherzare. Mica sono il tenente Colombo che scendo dalla macchina e mi ritrovo a tu per tu con l'assassino."
"Ennò, eh!"
La Regata svolta in una stradina lastricata di pavè. La Bovera è costretta a frenare di colpo. Cinquanta metri davanti a loro un assembramento di auto, furgoni televisivi, capannelli di persone e tante mani alzate con degli striscioni bianchi tappezzati di scritte rosse. Tra le sirene mute della polizia che girano a vuoto anche quella di un'ambulanza con le porte aperte. La lettiga è abbandonata in strada. Due ragazzi in tuta arancione le sostano accanto fumando una sigaretta mentre con la mano libera il più alto dei due gesticola qualcosa a un agente.
"Scendiamo qui" si sfila gli occhiali da sole per mettersi quelli da vista, rettangolari di plastica bianca. "Come mai sono arrivati tutti prima di me?"
Il solito drappello di giornalisti che si sbracciano e avanzano a colpi di microfoni, gli operatori addossati come falchi, la falcidia dei flash, l'odore di gente. Si nota subito per contrasto il sorriso placido del cronista con la faccia da Di Caprio che ne ha viste di tutte e invece di stupirsi si rammarica. Di cosa, è oscuro ai più.
"Anche lei qui?" la Bovera è convinta che la missione dei giornalisti sia incastrare la polizia.
"La telefonata è arrivata al giornale" risponde sorridendo Di Caprio.
"Come? Mi avevano detto..."
"Una donna, alle nove in punto. Io passavo in redazione per caso, mi ero dimenticato il regalo per mia moglie."
"Ma va'? Addirittura romantico!"
"Mi ha detto che ci potevano essere delle "complicazioni". Nemmeno lei sapeva bene cosa. Un fatto è certo, non ha parlato di omicidio né lo sospettava."
"Questa poi!" 
Un poliziotto sovrappeso coi baffi rossi curatissimi viene incontro alla Bovera e Rondo: Di Caprio si è defilato in silenzio.
"Ci sono già i genitori degli alunni che protestano contro di noi che non proteggiamo i loro figli. È uno scandalo! Mica possiamo tenere a bada..."
"Lo vedo, Potenzoni, lo vedo!": gli striscioni adesso sono leggibili anche se i lenzuoli su cui spiccano slogan di sdegno all'indirizzo della polizia sono sporchi.
"Perché non hanno usato le loro lenzuola migliori?" è contrariata la Bovera.
Tira dritto verso il portone della scuola senza prestare ascolto alle rivendicazioni dei manifestanti. A una donna che grida "Vogliamo giustizia" risponde con un gesto dispersivo della mano.
"Transenna tutta la zona e vedi di sgombrare la strada al più presto. È arrivato Corridoni?" rivolta a un altro agente.
"L'ho sentito cinque minuti fa. Era bloccato in un ingorgo dalle parti di Monza. Ma tra poco dovrebbe arrivare."
Di Caprio le agguanta un lembo della giacca.
"Ancora tu?"
"Commissario, gira la voce che sia innamorata".
"Come sei fuori luogo, Di Caprio! Mi eri più simpatico quando ti occupavi di squartamenti!"
Si libera dalla stretta sotto lo sguardo preoccupato di Rondo, tuttora incerto se insultare o meno Di Caprio. Lo si intuisce dalla bocca afona ormai spalancata da qualche secondo. Solo che la Bovera è davanti a lui e non ha il tempo di incoraggiare il suo insulto con un colpo al di sotto delle scapole. Allora si inforca i Ray-Ban a goccia della marina americana autentici, quelli del suo idolo Tom Cruise.
"Io intanto vado dentro, voi liberate al più presto la strada da questo casino."
Il portone della scuola è chiuso. La Bovera suona il campanello e deve aspettare un minuto intero prima che l'agente Orlandi compaia oltre il vetro da cui saluta un po' imbarazzato.
"Avanti, cos'aspetti ad aprire?"
"Buongiorno, commissario."
"Su, portami sulla scena del delitto": le piacciono le frasi fatte dei telefilm polizieschi. Dietro di lei Rondo abbozza un sorriso di importanza.
"Com'è che non mi avete avvisato subito?" la Bovera segue Orlandi in un enorme salone con un parquet lucidissimo circondato da enormi finestre ogivali che danno su due cortili.
"Abbiamo provato al suo cellulare ma era staccato."
"Potevate provare in ufficio, no? Sapete che la domenica mattina sono sempre lì."
Tre scale in fondo al salone introducono in un lungo corridoio di marmo. Su entrambi i lati un'infilata di porte contrassegnate da alcune targhette. Rondo legge ad alta voce: "Presidenza".
"Eccoci all'ascensore."
"No, Orlandi, saliamo a piedi. Primo piano vero?"
Le piastrelle a quadratini rosa delle pareti sono troppo linde per una scuola.
"Che tristezza le scuole vuote. Chi è stato il primo agente ad arrivare sulla scena del delitto?"
"Il sergente Grazioli, commissario. È arrivato alle dieci meno un quarto con la sua pattuglia." Poi, quasi per giustificarsi: "La telefonata è arrivata al centralino alle sette e dodici. Sa, con tutti gli scherzi che riceviamo... Siamo venuti a controllare più per scrupolo che...".
La Bovera continua a guardarsi intorno: "Come sono pulite queste scale. Informiamoci sull'impresa di pulizia che se ne occupa e assumiamola subito per il commissariato".
Rondo sorride. Orlandi ostenta serietà professionale, ha un'aria imperturbabile mentre inonda di mentolo l'ascesa fattasi di colpo silenziosa.
Appena sono sul pianerottolo del primo piano: "Dove sarebbe questa sala d'arte?".
"In fondo al corridoio, commissario. Di qui arriviamo alla porta principale, l'unica trovata chiusa. Poi ce n'è una che dà sul giardino. E una terza che porta all'Aula Magna passando attraverso un corridoio pieno di vecchie cianfrusaglie. Tutte e due erano aperte."
"Cosa ci faceva un operaio della Breda nella sala d'arte? Orlandi, è gia stato convocato il preside della scuola?"
"Sì, signor commissario. Al momento si trova in sala professori con il sergente Grazioli. Pare che ieri notte abbia ricevuto una telefonata: dalla voce sospetta che si tratti di uno studente di questo liceo. Comunque di un giovane."
"Un'altra telefonata?"
"Sul momento ha pensato a uno scherzo."
"Perché, cosa diceva?"
"Niente, solo di dare una controllata alla sala d'arte."
"Le telefonate allora sono tre. Pare che questo delitto fosse noto a troppe persone prima di essere scoperto."
Un uomo con le braccia incrociate vestito in jeans e camicia a scacchettoni aperta su una maglietta grigia presidia la porta della sala d'arte: "Brutta domenica, eh?".
"La scientifica è arrivata?" senza rispondere alla battuta di Corletto, meglio conosciuto come "il newyorkese" essendo un italo-americano di ritorno. Nato a New York, dove ha vissuto fino a vent'anni, quando è venuto in Italia in viaggio di nozze e dopo aver mangiato la cassoeula ha deciso di rimanerci per sempre.
"Pertempi sta arrivando di corsa da Lavagna."
"Che bello, la Liguria!" ricordando con astio la reclusione agostana a Salice Terme.
Liberatasi di Orlandi, uno troppo ambizioso e perfettino per i suoi gusti: "Mettiamoci al lavoro".
I cardini della porta di legno cigolano mentre la Bovera cerca di spiare l'aula dal riquadro di vetro, posto troppo in alto persino per il suo metro e ottantuno.
"Qua dentro le pulizie non ce le fanno" azzarda Rondo, mentre la Bovera estrae un sacchetto di plastica con dei guanti dalla tasca destra della giacca di pelle nera a tre quarti.
"Perché un operaio chiede un giorno di permesso per intrufolarsi in un'aula di una scuola? Un appuntamento? Con chi? Contatti con gli studenti sono improbabili, anche coi professori mi sembra difficile. Almeno tre persone lo sapevano. Ricatto, estorsione? Che subisce o fa? E perché il frac?".
L'ultima domanda la ripete a Rondo: "Un frac malandato per di più".
"Se stesse andando a un matrimonio e ha sbagliato strada?"
"Rondo, sai che non amo il tuo senso dell'umorismo."
Corletto muta immediatamente la risata in una schiarita della gola.
"Che puzza di trielina!"
Stanno attraversando il primo salone, quello utilizzato per le lezioni di storia dell'arte. La Bovera indugia sulle quattro tele appese una in fila all'altra sulla parete di sughero. Rappresentano quattro tentativi di crocifissione. L'originale da cui gli studenti hanno copiato è una litografia attaccata un po' storta con delle puntine di colori diversi a un vecchio leggio di legno massiccio posto sopra il tavolaccio tutto scheggioso verso cui si rivolgono le sedie di plastica azzurrognola sparpagliate alla rinfusa.
 Si incuneano una dopo l'altro fra una lavagna girevole sporca di scritte illeggibili di gesso e un mappamondo di carta di riso appoggiato a un trespolo per raggiungere delle scale traballanti alla cui pressione emettono un'eco stridula. Rondo sta finendo di contarle ad alta voce: "...sei, sette, otto".
"Questo è un magazzino. C'è proprio di tutto, commissario!"
"Eccolo" Corletto si eccita sempre alla vista dei cadaveri.
La Bovera si dirige verso la finestra sbarrata dalle assi di legno in fondo a destra del soppalco. Lascia cadere lo sguardo sul volto butterato del povero Rabolini. Emette un gridolino simile ai gargarismi di approvazione con cui Corridoni sfoglia i suoi verbali. Prima di chinarsi si soffia il naso due volte. "Anche tu?" offre il fazzoletto moccicoso a Rondo.
Senza aspettarsi una risposta si inginocchia a esaminare l'inclinazione della testa insaccata tra le scapole. "Era proprio brutto": osserva la curva aquilina del naso, la posizione rivolta verso il basso della faccia crea l'illusione di una continuità con la bocca di cui sono bene in evidenza i denti inferiori, di un colore affine a quello della maionese. Il mento è sopraffatto dal rigonfiamento gelatinoso del collo in cui scompare: "Sì, proprio brutto".
Rondo si schiarisce la gola con troppa veemenza, sorpreso da un attacco di tosse peggiorato dai tentativi di scusarsi con il commissario. Corletto si mantiene in un'estasi silenziosa.
"Secondo me non conosceva il suo assassino."
"Davvero?" continua a tossire Rondo.
"Boh!"
Ha gli occhi ancora spalancati, più che nocciola sono senape. Dalla bocca semiaperta si affaccia un lembo di lingua biancastra. Le labbra sono strizzate come alla fine di un movimento rimasto incompiuto: "Forse un rutto" azzarda di nuovo Rondo rinfrancato dal singhiozzo che almeno l'ha liberato dalla tosse.
"Guarda qui che bel diametro" indica il foro d'entrata della lama.
"Mamma mia, che puzza!" si rialza la Bovera.
Ignora il cadavere e comincia  a girare con passo circospetto: "Com'è basso il soffitto quassù. L'assassino certamente non è alto più di me". Sposta la sua attenzione sul parquet. 
Rondo la incalza a pochi passi, guarda nella direzione in cui guarda lei, si sofferma sugli stessi oggetti sui quali si sofferma lei, rimugina in un sussurrio catarroso le parole della Bovera.
"Qualcuno ha pulito da poco proprio in questa zona" con il braccio teso e il dito che lo guida a raggiera traccia idealmente una circonferenza partendo dall'uomo in frac e includendo nel gesto i circa cinque metri di pavimento che lo dividono dalla porta sul corridoio.
"Se osservate quissotto" si è accucciata di nuovo ai piedi del cadavere: i guanti di lattice reggono il tacco della scarpa mentre solleva la gamba fino all'altezza del ginocchio.
"Come pensavo, vedete? Polvere! Quissotto c'è polvere come in tutto il resto della stanza che è sporca. In questo tratto invece il parquet è quasi lucido. Sembra che l'assassino abbia avuto il tempo e il sangue freddo di pulire il pavimento per cancellare eventuali tracce di sangue."
"Ma dove ha trovato la scopa e i detersivi? Non credo che si li sia..."
"Bravo Rondo, ottima domanda! Un assassino che si prende la briga di pulire..."
Rondo ridacchia soddisfatto.
"A meno che l'assassinio non sia stato commesso proprio dall'addetto alle pulizie" con un accento un po' impacciato Corletto fa sfoggio del noto pragmatismo americano.
Adesso la Bovera sembra più disordinata nell'ispezionare intorno a sé. Addirittura sorride mentre una mano si dilunga imperterrita sul grosso neo dietro la nuca. Ogni tanto si arma del fazzoletto intirizzito e fa per portarselo al naso come per prevenire uno starnuto ricacciato dentro all'ultimo istante.
"Hai visto Rondo che belli questi modellini? Da piccola il mio preferito era il mammut." Sta ispezionando una vecchia credenza a vetro ricolma di esemplari in plastilina di animali preistorici. Ognuno è costruito in scala diversa. Ne risulta una vera e propria rivoluzione della natura: tirannosauri in miniatura sovrastati da giganteschi deynonichus, mammut gialli e brachiosauridi con le zanne. E in mezzo a tanta varietà di specie e dimensioni, un piccolo Snoopy in plastica con in mano un gelato.
"Il mio preferito?" Rondo non osa risponderle che anche il suo preferito era il mammut. Guai a non contraddirla sui suoi gusti: "Io invece adoravo il triceratopo".
"Ah, sì? Avrei giurato che anche tu fossi un appassionato di mammut."
"Perché?"
"Boh, così!"
Senza il preavviso delle scale scricchiolanti, alle loro spalle si sente un brontolio discreto. La Bovera e Rondo si girano. Corletto ha già afferrato la pistola.
Ecco Orlandi: "Signor commissario, è arrivato il procuratore Corridoni. L'aspetta in sala professori".
Rondo non lo dice, però l'improvvida esultanza che imporpora le guance del suo capo confermano la sua malevolenza solo pensata: grazie a questo omicidio lo vedrà in carne e ossa. E vestito di domenica!