L'appassionato di poesia

Sab, 09/12/2009 - 14:08

L'appassionato di poesia

Dal Cahier de doléances della Libreria Odradek di Milano, via Principe Eugenio 28

 

Dalla memoria di libreria non può svanire il caso dell’appassionato di poesia. Si è fatto buio, entra un cliente mai visto prima e comincia a “dare un’occhiata”. Le sue attenzioni vanno presto ad una delle vetrine – quella dedicata alle opere di narrativa e di poesia. Prende, soppesa e ripone, uno per uno, quasi tutti – ordinato e scrupoloso. Noi guardiamo. Ci mette un po’, ma a un dato momento sceglie: si fa verso la cassa e porta con sé una copia di Salernitudine, raccolta di poesie di Ennio Abate, e noi non possiamo che interloquire, perché “Ennio è un amico”, perché “la sua poesia, attenta al dialetto ed alla vita dei semplici, tocca la coscienza politica di ognuno di noi”, perché “il libro è arrivato da pochi giorni”. E già che ci siamo gli manifestiamo il sospetto: “E’ suo amico ? Anche lei è amico di Ennio” – il che giustificherebbe l’acquisto. Per quanto noi ci si dia da fare, comunque, questo cliente è restìo al dibattito. Scuote la testa, sorride forse timidamente, dice di no, ma non aggiunge alcunché. Paga. Prendiamo il biglietto da cinquanta euro e gli diamo il resto senza mai smettere di tentarlo al dialogo e, comunque, garantendo noi per il poeta – ha fatto un buon acquisto.
C’è voluto un po’ – qualche minuto, forse una decina -, perché uno di noi dicesse all’altro: “Scusa, ma quanto costava il libro ?”, “Sei euro, qualcosa del genere”, “Beh, alla fine, dopo tanto ponderare ha scelto quello che costava meno”.
E’ quel “meno” che ha fatto scattare il bagliore di un’improvvisa consapevolezza destinata a trasformarsi, presto, in dolore. “Con cosa ha pagato ?”, “Cinquanta euro”, “dove sono ?”, “In cassa”, “Eccoli, ma”. Patentemente falsi.
E’ facile rendersi conto di quante categorie cariche d’ideologico ricorrano nel racconto. Una persona che entra è un “cliente”. Notoriamente questa tipologia del linguaggio commerciale in una libreria può “dare un’occhiata”, ovvero dichiara un “cip”, come al poker, mentre altrove – in una salumeria, per esempio – contrae un vincolo che in qualche modo va sanato. Il libro libera.
La “cassa”, poi, implica il presidio. Custodisce il tesoro accumulato – più spesso, nel nostro caso, quel tesoro che ci mettiamo noi: nel caso avessimo da dare il resto (per l’appunto).
L’acquisto del libro di poesia, comunque, dovrebbe sempre indurre al sospetto. Malafede – da qualche parte, in qualcosa – c’è. Il “cliente” (a questo punto con le virgolette) in questione ha avuto anche la sua dose di fortuna – la nostra stima nella persona dell’autore prima che del poeta -, ma ciò non può assolverci dalle nostre responsabilità: quell’attimo di ebbrezza da commercianti in erba in cui ci siamo trovati a vendere la merce, anzi che mistificata (doppiamente perché “culturale”) come “dato” e “valore di per sé”, come fosse primizia immacolata. Il nostro peccato è grave - dobbiamo confessarlo al Dio del mercato – perché in quel momento abbiamo provato gioia.

 

  1. Clagio (non verificato) on Dom, 09/13/2009 - 22:54

    http://clagio.blogspot.com/2009/09/la-domenica-che-vorrei.html

    dia un'occhiata a questo, per cortesia.
    sono certa che in tempi come questi, in cui internet primeggia su tutto, anche lei apprezzerà questo angulus ridens che ho scoperto -purtroppo- solo oggi.

    Giorgia