Nicola Del Chiaro: Il pastore sul fiume

 

 

Stavo andando a vedere se avevano portato via l’eternit. Prima di Pasqua avevo fatto una segnalazione ai vigili urbani: nella golena del fiume – ora “Parco fluviale” – all’ombra di un boschetto di platani vicino alle Cateratte, qualche testa di cazzo aveva scaricato delle lastre di eternit, in bell’ordine.
Dunque pedalavo sul lungofiume, un bel pomeriggio caldo ma ventoso, con l’aria pulita e l’acqua che scorreva chiara e verde.
Mentre stavo pensando a che concime usare nell’orto e a quante cipolle cogliere, all’improvviso da una pioppeta, ombrosa come certe abetaie dolomitiche, sono apparse, come figure magiche, delle capre e delle pecore. Pascolavano silenziose e tranquille. Era tanto che non vedevo un gregge sul fiume: forse da quando è morto Marino il pastore.
Con lo sguardo ho cercato nel sottobosco il nuovo pastore. L’ho scoperto accovacciato con un filo d’erba in bocca, lo sguardo assente, il viso scuro e segnato. Se non avesse avuto quella maglietta blu e il cappellino stile afrika korp non l’avrei distinto da una delle capre.
Me lo diceva sempre Marino il pastore, appoggiato al bastone, con la sua voce fioca: “i giovani, oggi, non lo vogliono più fare questo mestiere qui. Ma han ragione. A’ mi’ tempi le donne al ballo non ti volevano perché dicevano che si puzzava. Ti restava l’odore addosso!”
Ma lui continuava, giorno dopo giorno: la mantella e il cappello a tesa quando pioveva; all’ombra in camicia e con un filo in bocca quando il sole bruciava: “questi sono i mi’ posti ... ”
Lì si sentiva bene, si sentiva libero e probabilmente non avrebbe voluto fare altro.
Oggi il giovane con lo sguardo assente, forse un balcanico con la mente alle sue campagne, conserva un momento del nostro passato.
L’eternit, dopo circa due mesi, è stato portato via.

 

(In alto: ponte nei pressi di Laurino - Cilento)

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