Nicola Dal Falco: Battibecco (insegna)

Lun, 07/28/2008 - 10:35

Nicola Dal Falco: Battibecco (insegna)

 

Insegna

Una volta, prima che l'occhio dell'ingegnere sconciasse monti e vallate, tirando una riga parallela al lago, a colpi di mina e di viadotti, prima che il tragitto da Lecco a Colico si trasformasse in un teorema di balistica, sparando le automobili attraverso una canna di cannone perennemente illuminata, la statale che tagliava in due i Paesi della riva occidentale era una specie di via Emilia.
Le file di camion salivano e scendevano; sui muri ciechi delle case fiorivano pitture a fresco che reclamizzavano lontane mete di confine e i chilometri tutti curve e strettoie, percorsi anche da pedoni e ciclisti, si misuravano da un ristorante all'altro. Come ogni battutissima pista aveva le sue oasi, alcune sfacciate, da due soldi, altre rinomate e segrete.
Una di queste ha continuato la sua onorevole carriera senza cambiare nulla, quasi che il tempo fosse rimasto incastrato tra le sbarre del passaggio a livello. Forse, un po' della propria atarassia deriva dal nome del posto. In cima alla facciata color crema, sotto lo spiovente del tetto, una scritta stampatello, velata d'azzurro, annuncia l'Hotel Orrido.
Nessun articolo o preposizione è stata inserita tra le due parole per chiarire che il tipico vallo d'erosione, descritto in tutte le guide, non qualifica l'albergo stesso, ma si limita a sottolinearne la fama. Qui, in una stanza a due letti, ho passato alcune notti spaiate, nei week-end fuori stagione come capita ai viaggiatori di commercio, ridendo del nome, della mia comica solitudine e della faccia imbronciata dei gestori che mi ricordava con forza i vasi di fiori finti, messi lì per bellezza, ma incapaci di esalare il benché minimo olezzo.
Genti introverse e riottose, chiuse come telline sotto un palmo di sabbia. La scritta sbiadiva da anni e insieme al classico tavolo con la bottiglia vuota, specchietto per turisti avventizi, alla buona, davano un'idea di coriacea resistenza. A chi? A che cosa? Al divenire, ai mutamenti, al pantarei che ogni volta, contrariamente alle opinioni dei falsi cristiani e degl'altrettanti falsi scettici, rinnovano alla stregua della misericordia di Dio il patto con la vita, la licenza di stare al mondo.
Mi incamminavo verso l'Orrido dopo aver lasciato la fidanzata sotto casa. Erano mesi che vivevamo insieme a Milano, ma la visita al lago, dai parenti di lei, contemplava quei mesti saluti sul portone socchiuso. Una situazione che avevo completamente dimenticato, confinata tra i ricordi di acerbi flirt, più di vent'anni prima. All'improvviso, un vuoto ci separava, una terra di nessuno dove certe convenzioni, certi pruriti allergici, certi principi di dubbia efficacia esigevano un dazio o meglio la sospensione di ogni velleità e salutare bisogno.
Abbracciarla nella stanza col lavandino e i ruvidi copriletto sarebbe stato divertente, tenero. Invece no, lei saliva al secondo piano mentre io raggiungevo l'albergo, sforzandomi di ricordare il numero della camera. Quella curiosa ed evidente amnesia insieme alle scale silenziose persero rapidamente ogni paradossale fascino.
Una sabato sera, tornando prima trovai la luce dabbasso ancora accesa. Il bar e l'ingresso dell'Orrido erano deserti, ma un vocio saliva a intervalli dalla scala a chiocciola. Chiesi permesso un paio di volte, finché emerse dalla cantina l'ostessa, strappata ad una partita a carte. L'Orrido - me ne rendevo ora conto - possedeva un cunicolo, una cripta, una fossa celata che ne difendeva il segreto metabolismo. Era profondo due volte. L'insegna, il tavolo con la bottiglia sull'attenti, il ristorante, l'intero albergo rappresentavano uno scaltro pretesto per accogliere e ributtare fuori ogni sprazzo di novità che transitasse nei paraggi, l'arrivo indesiderato dell'imprevisto, del diverso. Tutto come prima, ma senza che questo significasse aizzare troppo i ricordi, costringendo il cuore a fare paragoni.
Si, si vendevano camere e il cartello "zimmer frei" non conosceva stagioni, ma senza un vero motivo se non quello di ritirarsi sottoterra. Io, per quanto mi riguardava, non volli nascondermi al mio desiderio e ai miei sentimenti e perciò cambiai le recentissime abitudini. Scordai l'indirizzo dei suoi parenti e evitai l'Orrido. Perché non avessi più dubbi, in ultimo, si verificò un contrattempo emblematico. Avevo dimenticato in albergo il documento che rimase inghiottito nello stesso cassetto dove era stato riposto, per circa un mese. Sempre in viaggio, non avevo potuto tornarci subito. Inviai qualcuno all'Orrido, ma senza successo. Non lo trovavano più. Mi toccò passare e solo allora, messi alle strette, guardarono veramente in fondo al cassetto.

 

(In alto: Sguardo cieco, foto Trasciatti)