Marco Battista: La prova

Mer, 04/23/2008 - 06:42

Marco Battista: La prova

 

Fui caricato sul carro dell'ignominia e portato via dalla vita. La cospirazione era vasta, la stessa che ebbe successo nel vessare molti uomini nati all'amore. Dalle sbarre del carro che si inerpicava per un sentiero alpestre e tortuoso potevo vedere il mare allontanarsi, svanire ogni mio orizzonte più caro. Mi rimase sul volto un sorriso inebetito, cucito addosso come da una fiducia arcana, lontana e impalpabile ma viva nel ricordo e nella speranza. Il carro dell'ignominia mi portò in un castello romito, nei cui sotterranei fui castrato e legato in ceppi. Ogni giorno ero divorato dai cani e ogni giorno una strega malefica mi tagliava la testa con una roncola, dopodiché me la immergeva in un secchio pieno di sterco e inveiva contro di me in una lingua che non comprendevo. Nelle lunghe pause di silenzio in cui la mia testa rimaneva negletta dentro al secchio, rannicchiandomi tutto nel mio spirito, così senza corpo come ero, ricordo di aver sognato più volte di fumare una sigaretta, una sola, di quelle che si fumano una volta l'anno, a Natale, insieme ai parenti più cari e più preziosi, in uno di quei momenti che ti pentirai poi per sempre di non aver saputo cogliere in tutta la sua bellezza e irripetibilità. Ricordo di aver vagheggiato l'infanzia, le mani di mio nonno che mi sostenevano nei miei primi passi, nelle mie prime escursioni sulla scogliera, nei miei tentativi di imparare a nuotare. Cos'è che fa un uomo e cos'è che lo sfa. Quale mistero ci sta sopra e quale ci rapisce via dal cielo. Ma, soprattutto, quale origine di tanto accanimento contro gli uomini che semplicemente vivono, vivono e basta, anche se egoisticamente, modestamente, anche se isolati, senza far danno ad alcuno. A chi dispiace l'amore? A chi dispiace la vita? A chi dispiace la felicità?

L'amore non basta a sé, l'amore ha bisogno di un'arma, di un talismano, l'amore ha bisogno di una magia.

Un giorno, durante l'ora della pennichella, quando i cani digerivano sonnacchiosi dopo avermi divorato, mi apparve mio nonno, in un luogo dello spirito dove, sia pur privo del corpo, ero tuttavia cosciente. Stringeva in mano una pietra verde legata a una cordicella, e me la porgeva. Era serio, e mi diceva: "Prendi in mano il tuo destino." Io presi la pietra e la strinsi nel palmo. Poi distesi il palmo e la guardai.

L'amore mi invase e mi ridiede la vita, quella piena, quella vera. Vi sembrerà incredibile, ma ero riuscito ad abituarmi a quelle condizioni, per quanto orribili. C'è qualcosa di primordiale dentro l'uomo che ti dà l'illusione di poter sopravvivere a tutto. Ti aggrappi a quel qualcosa e hai davvero l'illusione della salvezza, o quantomeno di una salvezza accettabile. Avevo strutturato la giornata in momenti topici, come il pasto dei cani o la mia decapitazione ad opera della strega, dopodiché avevo elaborato tecniche per vincere il dolore, o lenirlo, e intorno a tutto ciò avevo costruito una routine di abitudini che mi faceva passare il tempo, mi rendeva la vita sopportabile. Pensavo al giorno dopo. Pensavo al futuro. Dopotutto l'essere divorato ogni giorno era una certezza, e mi dava delle certezze. Non avevo paura dell'ignoto.

Ma adesso avevo la pietra. Avevo di nuovo la vita. Avevo l'amore. Potevo guardare in faccia la verità e sconfiggere tutti i miei nemici.

Bagnai la pietra con le mie lacrime e trasformai i miei ceppi in mazzette di banconote. Con quei soldi corruppi le guardie ed evasi dal castello. Caddi in ginocchio quando, sulla via del ritorno, uno scollettamento della strada scoprì ai miei occhi l'immensità del mare, come un velo che scopre la bellezza del sesso dell'amata.

 

Marco Battista

(In alto: Sky Truck, di Joseph Reboli)