Marco Battista: Le radici del bene

 

I

Erano passati anni. Erano tutti morti. Il tempo li aveva maciullati a uno a uno. Ci aveva maciullati. Non ero più stato in quella casa. Ero come bloccato dall'idea di un dolore disumano che mi avrebbe assalito e dilaniato, ucciso per sempre. Pensavo ad altro, ma in realtà pensavo solamente alla mia desolazione. Una lastra di ferro, fredda, arida, che mi sigillava perfettamente in me con la mia estraniata e decisiva complicità.

Un giorno mi resi conto che non avevo più niente da perdere. Ero già morto, compiutamente, perfettamente. Deambulavo per il mondo con il mio corpo ma non avevo più anima. Ero solo, completamente solo, né poteva essere diversamente. Non avevo più lacrime né amarezza. Mi guardavo nello specchio e vedevo lì incorniciata l'immagine perfetta della morte.

Trovai il coraggio di aprire il cassetto dove stavano le vecchie chiavi. Le vidi e per un attimo li rividi tutti, sentii le loro voci. Poi niente, scomparvero di nuovo. Questa volta fui io ad ucciderli. C'era una lacrima sul mio viso ma era il viso di un morto, era stato il sussulto di un cadavere percorso da una scossa elettrica, la fotocopia di un sentimento, di un lampo.

Scesi in strada e non c'era nessuno. Montai in macchina e percorsi di nuovo la vecchia strada, chilometro dopo chilometro. Non c'era nessuno, non c'erano macchine. C'erano i semafori ma non c'erano macchine. Non c'erano persone sui lati della strada.

Parcheggiai sotto la vecchia casa. Sudavo freddo. Avevo gli occhi asciutti. Meccanicamente aprii il portone. Riconobbi l'eco dei passi che restituiva l'androne. Salii in ascensore e raggiunsi con angoscia il terzo piano, in un'ascesa interminabile. Non pensavo. Sudavo. Dovevo farcela. Presi le chiavi, e, come in un altro tempo, aprii la porta con il fac-simile di un gesto leggero. Ero dentro. Chiusi la porta di casa finalmente dietro di me e alzai lo sguardo. Ce l'avevo fatta.

II

Mia moglie e i miei figli sapevano quello che sapevo, vedevano quello che vedevo, si erano armonizzati perfettamente con la nuova, vecchia casa.

Il pavimento sempre pulito, la cucina sempre piena di colori, i miei morti non se ne erano mai andati, non erano mai morti. Solo io ero stato morto. Erano felici del mio ritorno.

Quante persone di nuovo nella vecchia casa. Quanta gente per strada quando andavo al mercato a far la spesa, col cuore grande quanto il cielo sopra Livorno. Gli occhi grandi di mio figlio erano i miei davanti al banco del pesce. I miei cari mi salutavano dalla finestra. Mi accoglievano sulla porta di casa. Era Natale e tutti insieme brindavamo a questo ennesimo miracolo dell'amore, a questa nuova occasione sortita dagli astri, quella di vivere ancora, tutti insieme, in eterno.

 

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